Una recente sentenza della Corte d’Appello di Roma (Sezione Lavoro, ottobre 2025) offre un importante chiarimento sui termini di decadenza per l’impugnazione dei licenziamenti e sul rapporto tra sospensione cautelare e licenziamento disciplinare.
La vicenda riguardava un licenziamento impugnato in primo grado, dove il Tribunale aveva dichiarato illegittimo il recesso, condannando il datore di lavoro a versare un’indennità risarcitoria e a restituire una somma trattenuta in busta paga per sospensione cautelare. In appello, la Corte ha ribaltato completamente la decisione.
Il punto centrale: il termine di 60 giorni decorre dal “rifiuto tacito” della conciliazione
Il nodo giuridico principale riguardava la decorrenza del termine di 60 giorni per depositare il ricorso giudiziario, ai sensi dell’articolo 6 della legge n. 604 del 1966.
La Corte ha aderito all’orientamento ormai consolidato della Cassazione (tra le altre, sentenze n. 8026/2019 e n. 20250/2023), secondo cui il mancato deposito da parte del datore di lavoro delle proprie memorie entro 20 giorni dalla richiesta di conciliazione costituisce rifiuto implicito della procedura, facendo decorrere da quel momento il termine di 60 giorni per ricorrere al giudice.
In questo caso, la lavoratrice aveva depositato il ricorso oltre tale termine, facendo così scattare la decadenza dall’impugnazione. La Corte ha pertanto dichiarato inammissibile il ricorso, annullando le condanne economiche stabilite in primo grado.
Sospensione cautelare e licenziamento: retribuzioni non dovute se il licenziamento è confermato
La Corte ha inoltre affrontato il tema della sospensione cautelare del dipendente in pendenza di procedimento disciplinare.
Richiamando numerose pronunce della Suprema Corte (tra cui Cass. 7825/2025, 11762/2021, 15444/2014), i giudici hanno ribadito che, se il procedimento si conclude con un licenziamento legittimo, la sospensione cautelare si “salda” con il recesso, che retroagisce al momento della sospensione stessa. In tal caso, il lavoratore non ha diritto alle retribuzioni relative al periodo di sospensione.
Solo in caso di annullamento del licenziamento – ha sottolineato la Corte – il lavoratore potrebbe ottenere il ripristino del rapporto e la corresponsione delle somme non percepite.
Un richiamo alla certezza dei tempi e alla coerenza procedurale
La decisione rafforza un principio di chiarezza e certezza nei rapporti di lavoro: la necessità che i termini processuali siano rispettati rigorosamente e che la sospensione cautelare mantenga il suo carattere provvisorio, salvo diverso esito del contenzioso.
Per i giuslavoristi, la sentenza rappresenta un’ulteriore conferma della linea rigorosa seguita dalla giurisprudenza in materia di decadenza e impugnazione dei licenziamenti, con implicazioni significative per la prassi sindacale e per le relazioni industriali.
Studio Tavernese
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Giornalista pubblicista, opera da molti anni nel settore della compliance aziendale, del marketing e della comunicazione.
Condivido questa linea. Inoltre, molti dipendenti che impegnano il licenziamento non sono poi così ‘vittime’ del datore di lavoro. Soprattutto di questi tempi.