Un cambiamento graduale (come l’aumento della temperatura dell’acqua) non viene percepito dalle rane come una minaccia finché non è troppo tardi per reagire. Così i milanesi non si accorgono che l’acqua scotta se non quando è troppo tardi.
L’astrattezza dell’amministrazione Sala e il caso San Siro. Rassegna ragionata dal web.
Sul Post si scrive
«Resta il fatto che la maggior parte dei milanesi ha continuato a preferire le stesse giunte di centrosinistra sotto le quali questa sensazione si è diffusa. È un’apparente contraddizione che si può provare a spiegare in vari modi. Il primo è che nonostante la narrazione di una città escludente, nel complesso Milano soddisfa chi ci vive. Paolo Natale, professore del dipartimento di scienze sociali e politiche all’università Statale di Milano, realizza periodicamente una rilevazione sulla percezione della qualità della vita dei residenti a Milano, “Tendenzialmente – dice – tre quarti degli intervistati sostiene di avere un livello di qualità della vita almeno sufficiente e che non cambierebbe il posto in cui abita”.
Per esempio: a Milano il 70 per cento dei residenti è proprietario di casa. Per queste persone l’aumento dei prezzi delle abitazioni – per cui Milano in questi anni è stata molto criticata – si traduce in aumento del valore dei loro immobili. Possono rivendere a prezzi molto più alti di quelli di acquisto (questo non esclude che ci siano comunque grossi problemi per un’ampia fascia di popolazione). Più del 60 per cento degli attuali residenti non viveva in città 15 anni fa. Sono spesso persone che si sono trasferite perché attratte dall’offerta di Milano: università di buon livello e poi soprattutto lavoro, ma non solo.»
I “cittadini” di Milano – spesso di nuovo insediamento come racconta il Post – sono un po’ come le rane che non si accorgono che l’acqua sta bollendo se non quando è troppo tardi. Man mano i prezzi delle case rendono sempre più rari gli infermieri, i tranvieri, gli insegnanti, i negozianti, e così la qualità della vita. Anche grazie a una sconclusionata politica della mobilità, nel medio termine peggiora sensibilmente. L’effetto della museizzazione della città diventa sempre più evidente. Il problema della destra però è che la saldatura tra “partito della rendita”. E’ adottato da larghi settori di una borghesia esausta e ceti professionali “wokizzati” non è semplice da sconfiggere. Servirebbero cultura, dibattito, mobilitazione, apertura a mondi vitali della società. Invece ci sono solo molti vecchi partiti con radici poste in altre stagioni storiche ormai svaporate, pochi luoghi di riflessione critica, iniziative spesso assai fiacche.
Sulla Nuova bussola quotidiana Ruben Razzante scrive
«La Ztl, voluta dall’amministrazione guidata da Beppe Sala, è l’ultimo tassello di una visione di città che punta a un modello di sostenibilità ambientale astratto e irrealistico, che non tiene conto delle esigenze reali del tessuto economico. Il provvedimento, infatti, arriva in una fase già estremamente delicata per la città. Milano è oggi un cantiere a cielo aperto, con decine di lavori in corso che paralizzano la viabilità, rallentano i tempi di spostamento, riducono la produttività di interi settori e aumentano l’inquinamento, anziché diminuirlo. Il traffico congestionato obbliga veicoli commerciali e privati a code interminabili, con ricadute ambientali paradossali rispetto agli obiettivi dichiarati. Si dice di voler ridurre lo smog, ma si ottiene l’effetto opposto: auto ferme più a lungo, tempi di percorrenza più elevati, emissioni moltiplicate».
Razzante descrive bene l’astrattezza ammnistrativa e la povertà culturale dell’amministrazione Sala sulla questione della mobilitò e della valorizzazione delle eccellenze commerciali cittadine: non si vedono però adeguati combattivi rappresentanti dei commercianti che contestino efficacemente in Consiglio comunale e in città la deriva in atto.
Su Gli Stati generali Paolo Manfredi scrive
«Sala vuole vendere San Siro ai fondi che posseggono i club perché il Comune ha bisogno di soldi. Perché sennò Milan e Inter vanno a giocare all’estero (San Donato e Rozzano), e perché vuolsi così colà dove si puote(va) ciò che si vuole. E se non si fa così io mi dimetto, salvo farsi una botta di conti e cambiare idea sui propositi del muoia Sansone. La politica ha taciuto finché si poteva surfare su Milano che corre, poi è andata in crash di sistema (a parte poche voci marginali). Rivendicando forse per il caldo estivo il basta regali ai privati prima di votare l’ultimo mega saldo, come chi si abbuffa la sera prima della dieta.
I fondi, che da tifosi delle squadre abbiamo cominciato a conoscere per quello che sono, gretti ragionieri che parlano inglese, che se hanno due spicci non li mettono sul calciomercato e che francamente si fa fatica a pensare possano costruire qualcosa di così grande e costoso come uno stadio che dovrebbe sostituire uno degli stadi più importanti del mondo, per questo un po’ minacciavano sfracelli inesistenti, un po’ si aspettano qualche regalo stile Torino alla Juventus.
Troppi ingredienti perché non venga fuori un pastiche. Tutti, complici anche i tempi, che hanno messo ogni decisione del Comune sotto una luce fredda e intensissima, escono un po’ o molto male. Peraltro per qualcosa che molto difficilmente avrebbe davvero avuto luogo. Perché la crisi di San Siro a mio modestissimo avviso è soprattutto crisi di ciance, posizioni inflessibili fino a quando flettono, e tantissima carta. I fondi volevano comprare e patrimonializzare un permesso di costruire. Questo avrebbe consentito loro di piazzare meglio le squadre quando, finalmente, le metteranno sul mercato. Mentre la politica, che ha passato anni a brindare ai primati di Milano mentre i pantaloni si consumavano, considerava possibile fare cassa con un (magari brutto) landmark di una città che non è Dubai, e l’identità non può svenderla».
Forse su San Siro l’amministrazione Sala alla fine ha trovato un pasticciato accordo che non pare proprio smentire la perfetta mediocrità dell’amministrazione, in grado di cavalcare ogni scelta propagandistica (tipo “non si fuma alle fermate dei tram” o “facciamo crescere l’erba alta nel verde cittadino”), di lasciare mano libera (con risultati alterni: bene lo sviluppo, male la mancanza di un’idea di città) a chi vuole costruire, ma incapace di risolvere nei tempi necessari e con proposte adeguatamente ragionate qualsiasi problema che richieda un progetto.
Qualche decina di anni fa Sergio Chiamparino ha permesso alla Juventus di dotarsi di un nuovo stadio consentendo ai bianconeri di vincere un’infilata di scudetti interrotta solo dalla crisi degli Elkann–Agnelli. Sotto la Madonnina ci si dovrebbe vergognare della propria gestione rispetto a che cosa si è riusciti a realizzare sotto la Mole. Anche perché la soluzione della comproprietà Milan – Inter di San Siro va contro tutte le esperienze di un’Europa in cui non c’è una squadra protagonista della Champions league che non sia padrona ”unica” del proprio stadio.
Sulla Zuppa di Porro Alessandro Bonelli scrive
«Un ragazzo di venticinque anni, un agguato nel cuore della città per un orologio da quattromila euro. È accaduto il 5 luglio a Milano, in piazza Missori, a pochi metri dal Duomo. Alessandro Briguglio è stato colpito con un martello alla testa per essere derubato, ridotto in fin di vita per un misero bottino. Un altro colpo e probabilmente non sarebbe neanche qui a raccontarlo. La cosa agghiacciante è che la feroce aggressione è avvenuta in una delle zone più frequentate e passeggiate della città. Nell punto nevralgico stesso di Milano si è verificata nonostante passanti e presidi delle forze dell’ordine a poche decine di metri. La notizia di oggi è che finalmente, quasi a due mesi di distanza, sono stati identificati i responsabili.
Purtroppo non è un episodio isolato. I colpi agli orologi di lusso scandiscono ormai la cronaca milanese con inesorabile regolarità: dal turista aggredito in Porta Venezia per un Richard Mille da 250 mila euro, ai colpi milionari messi a segno nel Quadrilatero. Tuttavia, l’aggressione in centro ai danni del venticinquenne rappresenta un tremendo acutizzarsi della violenza e non solo dei furti. Girare in pieno centro armati di un martello evidenzia che i malviventi a Milano ormai godono di un senso di impunità e di serenità davvero preoccupante. Una deriva sconcertante che ormai non risparmia più neppure chi, ingenuamente, credeva credeva che passeggiare in centro fosse una garanzia di sicurezza».
Se i milanesi si sentono degli utenti e non dei cittadini. Se non si sono curati tutti gli elementi che formano non solo aggregati urbani ma comunità, la violenza descritta sulla Zuppa di Porro diventa inevitabile. Contrastarla è un problema ancor più che di sicurezza, urbanistico.
Lodovico Festa (Tempi)
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