Sabato sera, su Rai 1, è andato in onda il concerto “Safety Love”, registrato a giugno a Gorizia, nell’ambito del Festival Internazionale della Salute e Sicurezza sul Lavoro, promosso e organizzato dalla Fondazione Rubes Triva.
Io c’ero. In quella che Piero Pelù ha definito “la casa della sicurezza sul lavoro”. Seduta tra il pubblico, in una piazza vibrante e attenta, ho ascoltato parole e note che cercavano di raccontare una verità semplice, purtroppo ancora troppo disattesa: non si può morire lavorando.
Ermal Meta, il primo a salire sul palco, lo ha detto con forza: “Non si può pensare di andare a lavorare… e morire.”
Una frase che dovrebbe sembrare ovvia. E invece è ancora un grido. Perché mentre rivedevo il concerto in televisione pensavo che a Napoli, venerdì, tre operai avevano perso la vita in un cantiere edile. Ancora un altro giorno segnato dal lutto.
In questo contesto, “Safety Love” non è stato solo un concerto. È stato un momento di riflessione collettiva. Un rito laico che ha dato voce a chi non c’è più e che ha provato a scuotere coscienze.
Il filo conduttore della serata sono stati i dieci principi della Carta di Urbino, un documento etico nato per promuovere la dignità e il benessere delle persone che lavorano. Non esclusivamente sicurezza normativa, ma attenzione reale alla salute, alla formazione, alla partecipazione attiva.
Ogni artista ha interpretato uno dei principi della Carta, mettendoci voce, corpo, anima. Levante, intensa, ha pronunciato quella che per me è la frase chiave: “Prima la persona, poi il lavoro.” Una sintesi perfetta. Tutto parte da lì, la persona, tanto è vero che è il punto 2 della Carta.
La sicurezza – e lo preciso da legale che si occupa della materia – non è mera questione giuridica. È una questione culturale, politica, etica.
Lo hanno ricordato anche Francesca Michielin (“La prevenzione salva le vite, evitiamo le tragedie prima che accadano”), Mario Biondi, Leo Gassmann, Joan Thiele, Settembre (“Voglio vivere in un paese dove il lavoro fa bene”), Serena Brancale (“Nessun lavoratore deve sentirsi solo”). Tutti accompagnati dall’Orchestra Giovanile Filarmonici Friulani, diretta da Marco Battigelli. La direzione artistica di Massimo Bonelli ha saputo tenere insieme voci e stili, mentre Monica Setta ha guidato il racconto con garbo e precisione.
Tuttavia non basta emozionarsi. Serve assumersi responsabilità. Ogni volta che qualcuno muore sul lavoro, si apre uno spiraglio nella coscienza collettiva. Poi tutto si richiude. In attesa del prossimo nome da aggiungere alla lista.
Serve un cambiamento profondo. Un’educazione alla sicurezza. Progettare ambienti più sicuri, formare con serietà, vigilare con rigore e soprattutto, riconoscere che la vita conta più di ogni urgenza produttiva.
La sicurezza non è un tema appannaggio di pochi. Ci riguarda tutti: lavoratori, imprenditori, dirigenti, cittadini, giuristi.
E se un evento come “Safety Love” può spostare anche solamente di poco l’asse della consapevolezza pubblica, allora è una serata da ripetere, da rilanciare, da sostenere.
Lo affermo con convinzione. Serve più cultura, più musica, più pensiero attorno al lavoro. E serve ricordare, prima la persona, poi il lavoro.
Avv. Simona Maruccio
simona@maruccio

Giornalista pubblicista, opera da molti anni nel settore della compliance aziendale, del marketing e della comunicazione.