Giovedì abbiamo discusso in Municipio delle linee di indirizzo per la concessione in uso della Palestra Pini, uno spazio pubblico importante per la cittadinanza. Si trattava di stabilire i criteri con cui assegnare le fasce orarie residue della struttura ad associazioni, società sportive ed enti non profit. Ancora una volta, però, la maggioranza ha preferito l’ideologia al buon senso.
Il documento approvato stabilisce infatti criteri oggettivi e soggettivi, e introduce una serie di “premialità” che attribuiscono punteggi aggiuntivi ad alcune categorie di soggetti. Fin qui nulla di nuovo: si premia chi è iscritto all’albo municipale, chi ha operato nel territorio, chi propone attività diversificate per età. Ma tra le voci premianti spicca un elemento che rivela la forzatura ideologica della maggioranza: una premialità è riservata alle associazioni che svolgono “attività sportive inclusive rivolte in particolar modo a persone con disabilità e alle comunità soggette a discriminazioni”.
Cosa vuol dire, concretamente? La delibera non lo spiega. Non esiste una definizione normativa o operativa di “comunità soggette a discriminazioni” all’interno del testo. Chi decide chi rientra in questa categoria? Con quali criteri si distingue una comunità “soggetta a discriminazioni” da una che non lo è? Di sicuro, non vi rientrano quei gruppi o associazioni che non condividono l’orientamento ideologico della maggioranza. Anzi, è proprio contro questi soggetti che le linee guida sembrano costruire barriere, camuffate da inclusione.
Il paradosso è che, pur di escludere chi ha idee diverse – in particolare chi è percepito come appartenente a una minoranza di destra – si introducono criteri generici e non verificabili, aprendo la porta a contenziosi giuridici. I tecnici che dovranno scrivere il bando pubblico, infatti, si troveranno di fronte a una formulazione tanto vaga quanto problematica: o la ignoreranno (rendendo di fatto inapplicabile il criterio), oppure dovranno costruire un accrocchio normativo per farla apparire legittima. Con evidenti rischi legali per l’Amministrazione.
In una democrazia, le discriminazioni si combattono con la legge, non con la discrezionalità ideologica. E non si favorisce la convivenza civile penalizzando chi non si allinea. Questa delibera, approvata in nome dell’inclusione, finisce per escludere. E soprattutto, danneggia le vere priorità: offrire servizi sportivi, sani e accessibili a tutti, senza etichette arbitrarie.
Per una volta, sarebbe bastato scegliere il buon senso. E invece, ancora una volta, si è scelto di fare politica – male – anche su una palestra di quartiere.

Giornalista pubblicista, opera da molti anni nel settore della compliance aziendale, del marketing e della comunicazione.