Serie A: 63,7% di stranieri, per La Liga solo il 39,7%. Biasin: ‘In Italia mancano le strutture per far crescere i talenti’

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Se si analizza la quota percentuale dei giocatori stranieri sul totale dal campionato 1992-1993 fino a quello più recente, in riferimento ai cinque campionati europei più importanti, appare fin da subito evidente quanto il cambiamento sia stato significativo.

I valori iniziali di giocatori stranieri in campo sono piuttosto contenuti nei primi anni Novanta: il picco più basso, ovvero  il  12,2% di presenze, si è registrato in Italia durante il campionato 1994-1995. A seguire, la quota ha iniziato progressivamente a salire, fino ai livelli attuali. Nel campionato appena trascorso, ad esempio, la Serie A, con un 59,1% di presenze di giocatori stranieri, si piazza al secondo posto tra le competizioni europee, appena dopo la Premier League (59,7% di stranieri nelle rose). La Ligue 1 si attesta a un valore pari al 55,2%, mentre la Bundesliga supera di poco il 50%. Virtuosa appare invece La Liga con poco meno del 40% di stranieri schierati in campo.

Stagione 2024-2025: il picco storico di giocatori stranieri

Per quanto riguarda la stagione attuale, si registra un record di calciatori stranieri nei massimi campionati europei. Nel dettaglio, i giocatori provenienti da altri paesi sono il 66,1% nell’ambito della Premier League, il 60,4% nella Ligue 1, il  51,8% nella Bundesliga e rispettivamente il 39,7% e il 63,7% nel caso della Liga e della Serie A.

L’intervista a Fabrizio Biasin: ‘In Italia mancano le strutture adeguate per far crescere i nostri talenti’

Per approfondire il tema, abbiamo intervistato Fabrizio Biasin, noto giornalista del quotidiano Libero, per conoscere la sua opinione in merito.

Ciao Fabrizio, grazie in anticipo per la disponibilità. Ti chiedo subito: quali sono secondo te i calciatori stranieri che hanno fatto la differenza in Italia?

Maradona, che ha giocato nella nostra Serie A, è stato il più grande calciatore della storia mondiale. Ma si possono ricordare, tra le squadre, anche la Fiorentina di Rui Costa e Batistuta, l’Inter dei tedeschi, il Milan degli olandesi. E ancora, la Juve ha avuto Platini, la Roma Völler, l’Udinese, Zico. Il problema è che queste eccezioni si sono trasformate nel tempo in una sorta di “regola”e i tentativi di fare affari hanno compromesso le scelte di qualità, portando di conseguenza a numerosi “flop”.

E pensando all’attuale Serie A?

Il passaggio di Lammers dall’Atalanta alla Juventus è ad esempio un affare eccellente: si tratta di un giocatore preso dall’Atalanta in Olanda, che oggi vale 60 milioni. Anche il valore del portiere camerunense Onana, preso dall’Inter, è salito a 50 milioni in un anno. Sempre in casa nerazzurra, il capitano Lautaro Martinez 7 anni fa valeva meno di 20 milioni e adesso è diventato uno degli attaccanti più importanti al mondo.

E i flop? Qualche esempio?

Ce ne sono davvero tantissimi. Del resto ogni anno i club prendono dall’estero una grande quantità di giocatori stranieri, senza un vero criterio, solo perché costano meno. La questione, a parità di valore, è legata al “decreto crescita”: non sempre però si fanno scelte giuste.

Secondo te il numero di calciatori stranieri e la scarsa competitività del calcio italiano sono collegati in un rapporto causa-effetto?

Secondo me no, questa idea che ci debba essere una sorta di protezionismo nei confronti dei giocatori italiani la trovo insensata. Il reale problema non è dettato dal fatto che ci sono tanti stranieri, ma dal fatto che non riusciamo a crescere i nostri italiani, ad esempio attraverso strutture adeguate.

Secondo te in quale punto si inceppa il processo e come si può evitare questa dispersione di talento?

Beh, considera che nei campionati europei Under-19 o Under-17, anche a livello mondiale, siamo tra i più competitivi. Il nostro problema è il salto dal settore giovanile alle primavere, alle prime squadre. In questa fase spesso si blocca il processo di crescita dei nostri ragazzi. L’introduzione delle seconde squadre come le Under-23, magari regolamentata, può essere un buon modo per testare i ragazzi, per farli crescere in campionati professionistici dove possono capire cosa significa passare dal settore giovanile al professionismo.

Da questo punto di vista c’è una netta differenza rispetto a quello che può succedere in Spagna. Cosa manca all’Italia?

Ci vorrebbe a volte un filo di coraggio in più. Per esempio in Italia proprio in questi giorni Thiago Motta sta dimostrando di non aver problemi a lanciare giovani ragazzi che magari noi non conosciamo. In realtà io non penso che ci siano allenatori masochisti che non vogliono far giocare talenti: se avessimo anche noi qualche giovane fenomeno come Yamal probabilmente sarebbe già in campo.

Dunque è il talento che manca in Italia?

Di ragazzi bravi e capaci ce ne sono anche qui. Forse abbiamo perso un po’ il bacino: adesso c’è meno possibilità di scelta perché meno giovani scelgono il calcio come sport e sono meno motivati, non hanno tutta quella voglia che avevano i ragazzi negli anni 80 e 90 di stare sul pezzo per provare a coltivare il loro sogno.

Qualche eccezione? Hai qualche nome di qualche probabile promessa del calcio italiano?

Beh, ripeto, anche la scorsa estate noi a livello di Under-19 e Under-17 abbiamo dimostrato di avere giocatori di prima fascia da Camarda in su. Anche Zanoli è da tenere d’occhio, ma andrebbe testato prima ad alti livelli.

Un’ultima domanda: la percentuale di minuti giocati dai calciatori tra i 15 e i 21 anni, rispetto al totale dei minuti giocati dall’intera rosa, in Italia è del 7,4% . Nella Liga arriva al 17,5%. Come commenti questo dato?

Le cose sono due. Un po’ da noi si tende a sfruttare l’usato sicuro: è più facile che un tecnico punti su giocatori più esperti e più avanti con l’età perché ti danno più garanzie. Altrove, come nel caso del Real Madrid, è un po’ più semplice puntare sul giovane talento perché ci sono squadre dove i campioni abbondano e mettere un giovane di fianco ai big fa da buon acceleratore. Aggiungo, inoltre, che a livello di strutture siamo un po’ più indietro rispetto al passato. Anche in Belgio, come in Svizzera, hanno avuto dei momenti di difficoltà, però sono stati bravi a investire sulle scuole di calcio del territorio.

La presente ricerca è stata realizzata con Paolo Carnazza, Economista industriale.

(Fonte Affidabile NEWS)

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