Sorte ha voluto che l’esplosione mediatica di Dune, i movie tratti dall’opera di Herbert del ‘65, abbia coinciso con il grande ritorno del terrorismo arabo. E’ un paradosso, ma l’epopea filmica di Dune primo e secondo, del 2021 e 2024 del regista francocanadese Villeneuve, appare sugli schermi come il trionfo di una saga araba desertica incoronata da un Eletto messianico paraislamico. Tutto questo mentre il Movimento di Resistenza Islamica palestinese, fondato nell‘87, al secolo Hamas (in arabo zelo, coraggio) ottiene il 7 ottobre 2023, agli occhi delle masse musulmane, una grande vittoria sul nemico storico, Israele, massacrandone 1.200 cittadini ed ospiti, violentando centinaia di donne e rapendo 240 ostaggi, per lo più civili, nascosti a Gaza, dove la reazione di Gerusalemme provoca in cinque mesi 30mila vittime. Senza una piega, Hollywood si fa, soprattutto out of west, portavoce di Hamas. L’anno prossimo dovrebbe uscire un terzo film, Messia di Dune. La speranza per allora è che la guerra di Gaza sarà finita e che l’Arabia Saudita, come previsto, normalizzerà i rapporti con Israele aderendo agli accordi di Abramo del 2020. In quel caso Hollywood riparerà elevando un peana all’Arabia occidentalizzata.
Casualità di percorsi che conducono a coincidenze inquietanti. Lo scrittore ancora oscuro Herbert, un campagnolo del nordovest americano, viene ispirato nel ’59 dalle gigantesche e caldissime dune di sabbia dell’Oregon che ingoiano qualunque cosa sul loro cammino minacciando la cittadina di Florence. Naturista, cresciuto in una comunità di autarchia alimentare, durante la Grande depressione, impegnato in battute di pesca con i nativi indiani Hoh nella riserva Quileute, è molto colpito dalle leggende amerinde, allusive sull’uomo bianco che mangia la Terra, su giganteschi vermi della sabbia che nella sua fantasia diventeranno gli Shai-Hulud. Sono i primi elementi delle 8 puntate pubblicate come Dune World tra ‘63 e’64 e The Prophet of Dune l’anno dopo, sulla rivista di fantascienza Analog dell’editore Campbell.Nel’65 lo scrittore Lanier fonde il tutto in un romanzo di 556 pagine, trovando, dopo ben 23 rifiuti, un editore per una tiratura ridotta, la Chilton Books, specializzata in manuali di autoriparazioni.
L’opera di Herbert Dune è una saga che passa rapidamente dalla nicchia clandestina alla fama generale con i massimi riconoscimenti della letteratura fantascientifica(premi Nebula Award dei Science Fiction Writers ‘65 e Hugo Award della World Science Fiction Convention ’66), vende 12 milioni di copie, viene tradotta in 14 lingue. Seguono Messia di Dune ’69, I figli di Dune ’77, L’imperatore-dio di Dune ’81, Gli eretici di Dune ’84, La rifondazione di Dune ’85; poi il ciclo di Dune 7 del figlio Brian e di Anderson in 13 volumi, a partire da I cacciatori di Dune 2006. Non solo le vicende di sedicimila anni di Dune diventano mito ma lo stesso Herbert si fa vero oggetto di culto, osannato nelle esibizioni affollate da studenti che lo leggono ad alta voce assieme a rock ad alto volume, sotto l’effetto di acidi.
Ancora paradossi. Il titolo di fantascienza più venduto di tutti i tempi è assai poco fantascientifico. In Dune non ci sono computer, robot e la stessa alienità non la fa da protagonista. Gli aristocratici Atreides, feudatari del pianeta Caladan, il duca Leto, la concubina Jessica ed il 15enne figlio Paul sono extraterrestri ma appaiono in tutto umani. L’autore stesso resta uno sconosciuto; un vero ragazzo di campagna dell’America profonda, cresciuto nella comunità Social democracy dei nonni di Tacoma, sulla costa settentrionale del Pacifico che nel vicino Oregon diventa un libertarian alla Eastwood, contrario al welfare ed alla beneficenza pubblica (le istituzioni della nostra società spesso indeboliscono l’autosufficienza delle persone). Parente da parte materna del senatore della crociata anticomunista McCarthy, il Cugino Joe, fa campagne elettorali per 4 candidati repubblicani, come l’intransigente conservatore senatore Cordon. Trova il modo, in una famosa scena del banchetto, di criticare i liberali, anche loro, colonizzatori tramite le figure dei radical chic Ecologi Imperiali Pardot e Liet Kynes. Le sue convinzioni incontrano i trend di 80 anni fa, nelle idee forza di Dune, la minaccia psicotica sovietica sul controllo premonitore delle menti (soggetto di The Dragon in the Sea’56), l’eugenetica e le droghe psichedeliche psicotrope come la psilocibina antidepressiva, assunte grazie all’hobby dell’autore di coltivare funghi magici allucinogeni.
Siamo all’alba della mentalità beatnik e freak, senza contestazione anticapitalista e con passione per il superomismo da comics. I lettori boys bianchi si svezzano sul catastrofismo ecologico ai primi passi, sull’epica del ritorno alla terra, sull’alterazione da stupefacenti, sull’eugenetica e vanno incontro fiduciosi al fanatismo mistico religioso senza temerne i futuri impatti. Prima del Vietnam, i ragazzi bianchi dell’America imbattuta in due guerre mondiali, sono naturalmente eroi legittimi. Come l’eroe Paul nella favola dell’eletto bianco, del salvatore onnisciente prescelto Maud’ Dib messianico, dell’essere supremo Kwisatz Haderach, mix di Padrino, Gesù, Maometto, ma anche di Gengiz Khan e di Hitler, gelido imperialista omicida di milioni di persone nella sua presa del potere della colonia del pianeta desertico Arrakis dei selvaggi Fremen e poi dell’impero interstellare di Padishah IV della Casata Corrino del Landsraad.
I boys in Dune declinano parole come Gom Jabbar (qawm jabbar nel Corano), Kwisatz Haderach, Sardaukar, Mahdi, Shai-Hulud, noukker, ya hya chouhada e jihad nella Chakobsa, la lingua caucasica della caccia, parlata dai Fremen (arabo colloquiale con radici modificate); sillabano gli aforismi coranici dell’ordine missionario parabizantino Bene Gesserit, si familiarizzano, divinamente allucinati nel deserto con gli ululati delle donne tra vesti e copricapi dei beduini di Lawrence (TE Lawrence: An ArabView di Mousa ‘66), dei ceceni e degli indolatinoamericani, nella fusione sincretica di antico e moderno, di occidentale ed orientale degli esoterismi esotici dello Sciismo della Bibbia, dell’Ebraismo, del Buddismo, dei crociati e dell’Islam. Le letture preparatorie, come confessò Herbert, sono omnicomprensive, oltre 200 libri di religione, politica, ecologia, imperialismo, storia, ingegneria, fotografia, buddismo Zen, droga, l’autore si prepara per Dune con un approccio sincretico, ampio e audace, su. È un gran trip di elaborazione di teorie, poemi, epos, politica, applicata al destino, ai costumi, alla gente di un altro mondo, l’Oriente, secondo l’orientalismo codificato da Said nel’78.
Non è, come si volle interpretare molto dopo, denuncia del colonialismo e nemmeno appropriazione culturale della conoscenza e dell’anima di altri popoli, furto questo, che sarebbe ancora molto più sottilmente colonialista. Herbert, malgrado i redattori gli chiedessero di non caricare l’elemento musulmano del libro, inquadrò l’universo di Dune, nell’elemento molto forte dell’Islam come base dell’ordito sincretico letterario dove avevano cittadinanza anche altre religioni. Lo fece a cuor leggero e ingenuamente poiché jihad, ad esempio non era un termine politicamente carico quanto lo sarebbe diventato. L’ennesimo paradosso vuole che le guerre orribili di Paul nei passi successivi della saga anticipino il significato tremendo che oggi diamo a jihad.
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Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.