Addio al gigante Milan Kundera, alla sua visione storica anche oggi attuale

Cultura e spettacolo

Addio al gigante della letteratura, Milan Kundera, timido, introverso, l’autore di “L’insostenibile leggerezza dell’essere” ci ha regalato il suo io nelle pagine delle sue opere, frammenti del suo pensiero, dettagli della sua vita. 96 anni, originario della Cecoslovacchia e poi cittadino francese ha vissuto la Storia del suo Paese con una visione critica e chiara.

Ha scritto ”Di fronte a quell’ineluttabile sconfitta che chiamiamo vita, non ci resta che cercare di comprenderla. In questo risiede la ragion d’essere dell’arte del romanzo”.

Scrive Sallusti “Se ne va Milan Kundera, proprio quando ci stava parlando come forse mai prima. Ci stava parlando con l’inconfondibile timbro della cronaca, sanguinante e quotidiano, sotto ma anche aldilà delle vette letterarie. «All’Europa centrale e alla sua passione per la diversità nulla poteva risultare più estraneo della Russia uniforme, uniformante, centralizzatrice, tesa a trasformare con temibile determinazione tutte le nazioni del suo impero (ucraini, bielorussi, armeni, lettoni, lituani) in un unico popolo russo (o, come si preferisce dire oggi, in virtù della generalizzata mistificazione del lessico, in un unico popolo sovietico)». Kundera lo scriveva nel 1983 sulla rivista Le Débat, il saggio è uscito per la prima volta in Italia appena un anno fa per Adelphi, nel volume Un Occidente prigioniero. Se volete capire il 2023, accartocciate pure i giornaloni, e tornate a questo testo. Perché questo è in gioco oggi: la volontà della Russia di “uniformare”, “centralizzare”, saldare a forza “tutte le nazioni” del suo (ex) “impero”, e restaurare quella mistificazione lessicale e ideologica chiamata Unione Sovietica. Non è un’allusione retorica, è l’agenda letterale di Vladimir Putin, che ha più volte definito il crollo dell’Urss «la più grave catastrofe geopolitica del XX secolo».

La Russia contemporanea si pensa come quella sezionata da Kundera, ovvero «come un Antioccidente, non come una potenza europea tra le altre, ma come una specifica civiltà, una civiltà altra» (basti pensare alle intemerate del filosofo Dugin contro l’Occidente “Anticristo”, o alle giornaliere evocazioni dell’apocalisse nucleare da parte di falchi come Medvedev). E pur di portare fino in fondo la collisione con l’Occidente (Kundera non aveva paura di usare l’espressione «scontro di civilità») oggi accetta di trasformarsi nel vassallo di fatto della Cina comunista. Era proprio la refrattarietà a farsi divorare dal totalmente altro sovietico che, secondo lo scrittore, rappresentava l’anima delle “piccole nazioni” centro-orientali (lui pensava fondamentalmente all’allora Cecoslovacchia, alla Polonia e all’Ungheria). «Il senso profondo della loro resistenza è la difesa di un’identità; o, in altre parole, la difesa della loro occidentalità». La difesa della loro occidentalità: con questa potentissima formula allo stesso tempo storica e metafisica, Kundera fa piazza pulita ante litteram di certa retorica colpevolista e filo-putiniana odierna.”

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