Il voto inutile

Attualità RomaPost

Nel ‘76 gli astenuti al voto furono il 7%, i votanti raggiunsero quindi quota 93%. Nel 2018 gli astenuti sono stati il 27% ma nel gennaio u.s. ad eleggere la D’Elia a Roma Trionfale non si è recato neanche il 12% degli aventi diritto. Ora al prossimo voto si rischia il 40% tra astenuti e schede bianche. Pannella usava aggiungere agli astenuti le scheda nulle e bianche per dire, in loro nome, di essere il leader almeno del terzo partito italiano, quello della protesta, prima che i 5 stelle gli usurpassero i diritti di Radio Parolaccia. C’è un astensionismo fisiologico dovunque variabile per condizioni e storia. Quello che rischiamo di incontrare nell’imminente appuntamento elettorale è invece un astensionismo patologico basato sulla totale sfiducia per i soggetti elettivi, partiti e Parlamento, non credibili rispettivamente per il 67% ed il 54% dei cittadini. I 4,7 milioni di giovani, under 35, in particolare, vittime della disinformazione sul percorso storico della politica del Paese, non la comprendono; hanno chiaro di non interessare, come segmento elettorale, alla politica che non perde tempo a rappresentarli (l’eccezione dei giovani capilista Pd, la sardina Scarpa nel Veneto, la femminista Cerroni in Molise ed il napoletano Sarracino rischia di non pagare. Il basilisco antisemita La Regina è già caduto e non per la contestazione dei sindaci Pd del territorio).

Inutile pensare che l’astensionismo sia una lucida richiesta di partecipazione o una cosciente disapprovazione della politica. È un istinto, una reazione umorale, l’idea subconscia del voto inutile. Non si vota perché si è al mare, il 13%; perché non si sta bene, il 16%; perché si è ancora dai parenti, lontano da casa, il 14%. Per una sorta di debolezza psicologica, negli ultimi anni si è astenuto di più il popolo sostenitore di questa o quella fazione, di fronte a previsioni di sconfitta. Non c’è quorum però, basta anche una minima partecipazione e l’elezione è valida, tanto l’astensionismo completo è impossibile. Per scuotere la politica ci vogliono concomitanti proteste, scioperi, climax di insoddisfazione; tutte cose che in una lunga guerra civile di fazioni ci sono state al massimo grado fino ad una sorta di stanchezza generale. Ora sulle entrate delle fabbriche, degli ospedali, delle scuole svettano alle cancellate mute bandiere di protesta di sempre più numerosi sindacati; ritualmente in sostituzione degli anacronistici volantinaggi. Sono elemento di paesaggio che testimoniano l’incazzatura e la stanchezza di rappresentarla, nell’indifferenza stanca di chi lo vede. Un tentativo di protesta per le care bollette energetiche è fallito.

Finché la politica continua ad aprire i cordoni della borsa, magari male e fuori giri, ogni protesta è tacitata. Bisognerà attendere il ritorno dell’austerity, per esempio in caso di razionamenti. Se la politica non sarà timida e spaurita, mal al contrario salda ed energica, non ci sarà malcontento che tenga. Nel tempo di pace globale, l’Italia ha vissuto una guerra fredda interna così elevata da dover mettere da parte la democrazia per un decennio durante le drogate convulsioni elettorali. Ora il mondo è immerso in una nuova guerra fredda, i cui termini non sono stati compresi e interiorizzati. Le fazioni non si sono accomodate lungo i faraglioni del conflitto mondiale. Forse non siamo più sul confine tra Est ed Ovest, forse siamo divenuti veramente Occidente, oppure forse siamo solo costretti ad esserlo. Prima però di dirimere la questione, la politica dovrà essere presa sul serio. Per ora appare solo ridicola, per sconfessione totale del mandato elettorale, per ricorso al martirio ed al familismo più sfrenato, per massacro dei migliori e meritevoli, per trasformismo incessante, per formazione dei nuovi mestieri di promoter di liste elettorali e di affittuario di simboli antifirme, per l’importanza del cuoco di cucina parlamentare inversamente proporzionale al voto, per incapacità di gestire i normali strumenti parlamentari come gruppi e commissioni.

Nel 2018 c’era stato un plebiscito per l’azzeramento del quadro politico tradizionale; 4 anni dopo i cittadini hanno trovato al comando l’establishment più coriaceo sostenuto peraltro da tutti, pur nell’odio reciproco. Il Presidente della Repubblica, osteggiato dal terremoto elettorale, è stato rieletto, reiterando un precedente vulnus costituzionale. Renzi, crollato dal famoso 40% degli €80, più ha perso consensi, più ha gestito il trend politico, facendo e disfacendo governi ogni biennio. L’insignificanza del voto ha tolto via via, tra le giravolte delle alleanze, ogni interesse per la XVIII legislatura. Lo stesso drastico taglio con il bisturi della rappresentanza popolare, a 400 deputati e 200 senatori, inizialmente volano dell’antiparlamentarismo, ha prodotto no satisfaction nell’idea che il sistema stesse ingoiando, soffocandola, ogni idea di cambiamento. Così neanche il ciclone riduzionista ha tolto di mezzo i nonc ambia mai niente….è tutto un magna magna mentre la vox populi è tornata a vagheggiare dei fantastici emolumenti di cui gode chiunque abbia a che fare con il Parlamento.

Il parlamento milionario non fa più le leggi, neanche le legge, neppure le riceve, fiducioso le prende per buone aocchi bendati. È solo uno stipendificio, come la scuola è un albergo e tanto lavoro è giustificazione di caporali al comando. Dopo essersi indignato, dopo averne riso, l’elettore astenuto si sente in diritto di abbandonarlo al suo destino. Tanto non è lui a decidere veramente; non può neanche astenersi. (1° parte)

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