Chi può incarnare meglio sette lustri lunghi un secolo, quegli ultimi 35 anni che hanno contrassegnato non solo la vita di questo giornale (Milano Finanza) ma soprattutto il cammino dell’Italia? La domanda girata in redazione ha avuto una risposta univoca: Silvio Berlusconi. In effetti il leader di Forza Italia giusto nel 1986 comprava il Milan, inaugurando una serie di passaggi storici che lo avrebbero condotto poi, una volta sceso in politica, a conquistare nel 1994 la sua terza Coppa dei Campioni nei giorni in cui otteneva la fiducia al primo dei quattro governi che ha presieduto. Qualcosa di molto vicino ai record di Giulio Andreotti, che di pallone fu però solo tifoso, sponda romanista. Sicuramente il divo Giulio risparmiò.
Il Cavaliere ha fatto il contrario e non si è risparmiato, è ancora in campo. Sul manto erboso col Monza, in politica sempre al centro della contesa politica, tra un governo Draghi e una corsa al quirinale. L’uomo che ha diviso l’Italia più di Coppi e Bartali, ha vissuto da protagonista gli anni più vicini che abbiamo alle spalle, i più turbolenti della recente storia mondiale. Nei giorni dell’attacco alle Torri Gemelle a New York guidava l’esecutivo palazzo Chigi, come anche al momento della nascita dell’euro e durante la crisi finanziaria, dopo il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 e in quella successiva dei debiti sovrani, nel 2011.
In questa intervista a MF-Milano Finanza, con l’inevitabile distacco che si deve avere per affrontare la cronaca che diverrà storia del Paese, Berlusconi affronta tutti questi temi, compresi quelli più attuali: la pandemia di Covid, i vaccini, il negazionismo.” la crescente presa nel potere dei social sulle menti di milioni di persone. Anche con un tuffo nel passato, la storia di Mani Pulite.
Domanda – Presidente Berlusconi, Milano Finanza è nato nel 1986, un anno molto importante per lei perché è lo stesso in cui divenne proprietario del Milan. La domanda è quindi d’obbligo: come è cambiato il mondo del calcio e anche quello dell’editoria e come se li immagina entrambi nei prossimi 35 anni?
Risposta. Sono cambiati profondamente entrambi, come del resto è cambiato il mondo intorno a noi. Nel 1986 Internet era solo un esperimento ad uso militare. Da allora tutto si è trasformato nel nostro modo di comunicare, di informarci, di divertirci. Lo sport già allora era un’attività di impresa, non soltanto un gioco, ed io entrai nel mondo dello sport con la consapevolezza dell’imprenditore unita però alla passione sportiva. Allora era possibile per una famiglia farsi carico di una squadra di calcio, che si identificava anche con una città. Oggi il grande calcio è un affare che riguarda la finanza internazionale, i grandi protagonisti sono petrolieri arabi, magnati russi, fondi d’investimento americani. Tutto legittimo, ma lontano dal territorio, dall’appartenenza, dalla passione sportiva. D’altra parte è un processo inevitabile, viste le cifre in gioco: l’importante è che tutto questo serva a garantire agli appassionati tanto bel calcio. lo avevo deciso di farmi da parte, poi ho trovato con il Monza una dimensione umana che mi ha davvero appassionato e mi ha convinto ad intraprendere questa nuova scommessa.
D. E l’editoria? E’ cambiata anche lei in 35 anni?
R. Per quanto riguarda l’editoria le ragioni del cambiamento sono diverse: si parla spesso di crisi, ma io non credo che la crisi sia inevitabile. Bisogna che le grandi testate giornalistiche sappiano darsi un ruolo diverso dal passato. Un tempo erano la sola fonte di diffusione delle notizie. Oggi la televisione prima e la rete poi, con maggior forza, hanno assorbito questa funzione. Ognuno di noi è bombardato da notizie, in modo incontrollato e disordinato. La diffusione di teorie bizzarre come quelle dei no-vax si spiega in questo modo.
D. Spieghi quale modo.
R. Le persone credono di essere informate ma non hanno gli strumenti per interpretare le informazioni. Questo è il compito della stampa, oggi. Dare un significato, un filo conduttore e un vaglio critico alle notizie. Metterle per così dire “in ordine”, senza naturalmente imporre la propria verità, ma fornendo al lettori gli strumenti per fare scelte consapevoli. Naturalmente questo è molto più facile per la stampa specializzata come Milano Finanza, che alla fine di questo processo ha un ruolo sempre più importante.
D. Nel 2022 cadono altri due anniversari importanti, i 30 anni dell’inchiesta Mani Pulite e i 20 anni dalla nascita dell’Euro. Due eventi che hanno cambiato il volto politico ed economico del nostro Paese. Tracci un bilancio dell’uno e dell’altro: si tratta di rivoluzioni che sono servite e soprattutto la moneta unica ha portato i benefici che ci si attendeva?
R. La moneta unica non è uno strumento perfetto, non mi ha mai convinto il modo con il quale ci siamo entrati, ma oggi non potremmo certamente farne a meno. Ha semplificato la vita agli operatori economici, ha stabilizzato i prezzi, ha messo al riparo dalla speculazione le economie più deboli, come la nostra. Insomma, il bilancio è largamente positivo.
D. L’euro è irreversibile e non ha alternative, quindi, come disse Mario Draghi. E Mani Pulite?
R. Per quanto riguarda Mani Pulite, ho sempre pensato che sia stata una forma di giustizia selettiva. Quello che è certo è che ha tolto dalla scena i grandi partiti democratici, costringendomi a scendere in campo in quel drammatico 1994 per evitare che i moderati, i centristi, i liberali, i cristiani, i garantisti, gli europeisti rimanessero senza rappresentanza politica.
D. Sempre in questi 35 anni che abbiamo alle spalle, è stata quotata Mediaset. Oggi, con la prossima uscita dei francesi di Vivendi, si aprono nuovi scenari per l’azienda della sua famiglia: quali?
R. Come saprà da molti anni non mi occupo più delle aziende che ho fondato, che sono oggi in ottime mani: quelle dei miei figli e di eccellenti manager. Posso dirle però che Mediaset si va sempre più internazionalizzando, nella prospettiva della creazione di quel gruppo televisivo europeo che da sempre è nei nostri sogni e che oggi è un’assoluta necessità, per avere la massa critica e la dimensione necessaria per competere con i grandi player della produzione audiovisiva. Anche qui credo comunque che la televisione cosiddetta generalista continui ad avere un ruolo, a fianco dei canali tematici sui quale anche il gruppo che ho fondato si va specializzando.
D. Dopo molti anni la Borsa ai Milano è tornata di proprietà, in coabitazione con i franco-olandesi di Euronext, dell’Italia: Piazza Affari può davvero essere un fattore di rilancio dell’Italia dopo il Covid?
R. Deve esserlo. La borsa è il volano della ripresa economica. Sono contento che sia tornata di proprietà italiana ma non è questo l’aspetto decisivo: quello che conta è avere un sistema borsistico che consenta alle aziende di capitalizzarsi e ai risparmiatori di investire in modo sicuro e trasparente. Il risparmio degli italiani è una grande ricchezza: sarebbe importante, anche tramite incentivi fiscali, convogliarlo nella ripresa e nello sviluppo del Paese.
D. La pandemia ha cambiato molte cose, ma in fondo c’è ancora un’enorme liquidità mentre le disuguaglianze aumentano in tutto il mondo. La finanza gode di ottima salute, come il risparmio: come si possono combinare i due elementi in un’ottica di sviluppo, soprattutto in Italia’!
R. Sono due temi da tenere distinti. La questione delle diseguaglianze esiste ed è un problema serio: una nazione civile non può permettere che una fascia della popolazione debba ancor oggi accontentarsi di condizioni di vita inaccettabili. Penso a molti anziani, dopo una vita di lavoro, ma anche a moltissimi giovani, che non riescono a far partire un progetto di vita. Penso a famiglie per le quali anche le cose essenziali, come la casa, le cure mediche, persino il cibo, possono costituire un problema. Tutto questo però non si risolve con metodi assistenziali. Naturalmente chi è in difficoltà va aiutato, ma la soluzione strutturale a questo si chiama sviluppo. E qui vengo alla seconda parte della sua domanda -finanza e risparmio entrano in gioco. Possono essere le due chiavi, insieme agli aiuti europei del Recovery Fund, perché il PNRR sia davvero i volano di una ripresa forte, solida, che non lasci indietro nessuno. L’importante è che la finanza e il risparmio -nazionale ed anche internazionale -siano convogliati sugli investimenti e non in operazioni meramente speculative. Questo si può favorire con una politica fiscale adeguata.
D. L’Italia, sotto la guida del governo di Mario Draghi, sta vivendo un forte rimbalzo del pil, che cresce a un tasso del 6%: come si può rendere strutturale questa crescita?
R. In effetti un dato così alto fa piacere ma dobbiamo tenere presente che almeno in parte si tratta di un rimbalzo tecnico dopo il forte calo dei mesi scorsi. Per renderlo strutturale bisogna impiegare le risorse del Pnrr, come il governo si è impegnato a fare, in interventi strutturali e non spese assistenziali o semplici operazioni tampone per dare un po’ di ossigeno in situazioni di crisi. Bisogna anche affrontare le tre grandi riforme delle quali parlo da molto tempo: quella fiscale, quella della burocrazia, quella della giustizia.
D. Parlando della prossima elezione del Presidente della Repubblica, lei ha sottolineato l’importanza della componente moderata del centrodestra rappresentata storicamente da Forza Italia. L’Italia di oggi, dopo Mani Pulite, la guerra alla casta, il successo del Movimento Cinquestelle in un’ottica antisistema, si può ancora definire un Paese di moderati?
R. Vede, la parola moderati si presta ad un equivoco. I moderati non sono coloro che non hanno opinioni forti, convinzioni profonde, passioni civili intense: sono coloro che con razionalità e concretezza, con rispetto degli altri e spirito critico, manifestano le loro convinzioni e sulla base di queste scelgono. Il voto al Movimento Cinque Stelle, dal quale siamo lontanissimi, nasceva però da motivazioni tutt’altro che ignobili o irragionevoli. Nasceva dallo stesso disagio e dallo stesso fastidio per un certo tipo di politica per la quale è nata Forza Italia. I Cinque Stelle non sono riusciti a dare una rappresentanza a questa Italia, ma hanno dato voce ad un disagio reale, che merita rispetto, attenzione, ed anche delle risposte.
D. E l’Europa può essere davvero ancora lo spazio comune del futuro e delle opportunità dei giovani europei?
R. Dipende da noi europei. Oggi l’Europa ha le dimensioni economiche, politiche e demografiche per essere uno dei protagonisti delle grandi sfide sul futuro. E quindi di un polo di innovazione attrattivo per i giovani di tutto il mondo. Tuttavia per fare questo deve continuare ad essere quello che è stata nei mesi peggiori della pandemia: una comunità di popoli solidali fra loro e uniti da valori comuni e comuni interessi. Una comunità in grado di assicurarsi un ruolo nel mondo attraverso una politica estera e di difesa comune, naturalmente nell’ambito dell’Alleanza Atlantica che rimane il nostro orizzonte essenziale e imprescindibile.
(Milano Finanza)
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