Povero è il Paese con una scuola che nutre povertà e disuguaglianza e non interviene

Attualità

Accade sui social. Da un lato una foto di scrutini con quasi tutti bocciati in una classe, esibita come trofeo. Dall’altro la notizia di una figlia di magistrati laureatasi in 3 anni.

Giubilo di alcuni ad entrambe le notizie, a me appare il fallimento del sistema d’istruzione come luogo in cui tutti vengono recuperati, potenziati, portati avanti con pari opportunità e in cui il contesto familiare non conta perché varcata la soglia della Scuola tutti sono sostenuti e motivati. Anche coloro che non vogliono o non sanno studiare.

Le fragilità degli studenti, ed è la fragilità della scuola italiana, il nostro sistema le appalta ad altri, alle lezioni private per chi se le può permettere, al terzo settore, a chiunque, fuorché a chi è demandato a farlo, il sistema d’istruzione. Chi non si può permettere le lezioni private, chi non ha un contesto familiare che motiva, chi non è raggiunto dal terzo settore, per sua natura discontinuo, frammentato, viene bocciato, lo sfaticato, il somaro, il non meritevole, caricando tutto sulla volontà del minore, quando io chiamerei in causa la botta di culo di essere nata figlia di due magistrati o la sfiga di essere nato figlio di nessuno, magari disoccupati, di immigrati o con la pelle di un altro colore. Decretando l’inefficacia a sua inutilità come sistema che contrasta le diseguaglianze d’origine, produttore di democrazia e sapere per tutti. Non solo, se ne vanta.

In Italia si boccia eccome, siamo uno dei paesi con la percentuale più alta di bocciati, Ocse Pisa tale percentuale la mette tra gli indicatori di sistema inefficace. Generalmente sono ragazzi di contesto difficile: le bocciature sono la strage dei poveri, l’80% riguarda studenti in difficoltà economiche e familiari. Ma vuoi mettere la goduria di esporre scrutini siffatti e leccarsi i baffi?

Eppure docenti e scuola a questo servono, a spiegare le cose che non si capiscono, a quelli che non le capiscono, a insegnare a studiare anche a chi non sa farlo o non vuole farlo, sennò gli studenti starebbero a casa a far da soli. I bravi, figli di contesto benestante, pieni di libri, stimoli e sostegno a casa, andrebbero avanti e studierebbero comunque. Gli altri no.

Quel che accade non è solo responsabilità di un docente, delle nostre carenze metodologiche e didattiche, delle nostre mancate consapevolezze sul ruolo che la Costituzione ci chiede, è anche una responsabilità generale, del Sistema Paese, che abbia visione chiara degli obiettivi e su quali azioni compiere per raggiungerli, perché se è quello di abbattere le diseguaglianze, offrire pari opportunità e fornire tutti i cittadini e le cittadine di conoscenza, cultura, senso critico e coscienza dei diritti e dei doveri, non ci siamo proprio. Dipende da quel docente? Non solo da lui: una mancata organizzazione di sistema preposta al recupero di chi rimane indietro, che parte da viale Trastevere e da chi si alterna nei governi, che si traduce in classi numerose proprio nei luoghi e scuole più difficili, nell’assenza di tempo pieno per attuare proprio quel recupero o di moduli per assistere tutti, dalla primaria alle superiori, nelle rigidità di ogni genere, organizzativa, burocratica, di orari e attività e tanto altro ma, soprattutto, nell’assenza di un percorso formativo iniziale unico per diventare docente e selezionare sulle competenze necessarie che discendono dalla coscienza di quegli obiettivi.

Docenti come quello che ha esibito quello scrutinio non hanno solo scarsa familiarità con metodologie inclusive ma anche col senso del mestiere e con quello per cui siamo pagati, pedagogia e didattica inclusiva le rifiutano perché non le conoscono, molti li definiscono “inutili orpelli” e vanno avanti come treni nella didattica selettiva che hanno visto fare ai loro docenti, ritenendola efficace, se ha funzionato con loro. Non sanno o evitano di sapere che fino a 30 anni fa la dispersione scolastica era tra il 60 e il 70% e abbiamo una popolazione adulta prevalentemente semianalfabeta.

Che i docenti si vantino di decimare le classi è non essere consapevoli del fallimento professionale e del sistema e non prevede vanto, significa ammettere che né noi, né la scuola siamo capaci di portare avanti chi è in difficoltà dentro la scuola, con la scuola.

Secondo loro per cosa siamo pagati? Per dare 10 e dire brava a una figlia di magistrati che è ovvio che studi in una casa piena di libri, di stimoli e con genitori che non fanno altro se non stare su carte e libri da quando li ha visto la prima volta? I guardiani dei bravi? E gli altri che bello tutti bocciati perché non sappiamo nemmeno da dove iniziare per motivarli e sostenerli e ce ne usciamo con “non vogliono studiare”? Ma sono tutti scemi e svogliati i ragazzi poveri? O c’è che non siamo proprio tarati sul portarli avanti? Docenti e sistema.

Quei bocciati lasciano la scuola a 15 anni, se nemmeno a casa hanno motivazioni. Non spariscono dalla vista perché ce li siamo tolti dalle classi, ce li troviamo sul groppone, tutti, come cittadini a metà, a cui dover dare poi reddito, lavoro, e sostegno comunque. Che non sanno compilare manco un modulo, o curarsi. Che non sanno come orientarsi, che sfottiamo sui social perché scrivono anno invece di hanno o viceversa. Non vantiamocene, la paghiamo tutti, non solo loro. Intanto la figlia dei due magistrati corre sull’autostrada delle facilitazioni. Mobilità sociale zero, che poi la chiamiamo cosi per non chiamarla diseguaglianza.

Non è rigore didattico e non c’è nulla di cui vantarsi in una scuola siffatta. Il corso di recupero che dovremmo fare tutti è su sta benedetta definizione di merito. Io un Paese che nutre diseguaglianze e poi cerca di sanarsi la coscienza con doti, assistenzialismi, bonus o altro, per non mettere mano a due tre riforme base per recuperarli quando è indolore ed efficace non lo vedo fondato sul merito ma sull’idiozia. Quali riforme? Quella per la formazione iniziale e selezione dei docenti, quella per un contratto differente che metta nero su bianco le ore di lavoro pagandolo il giusto (18 di lezione più 18 di attività funzionali), che preveda carriera e differenziazione di funzioni dentro le scuole, che sono grandi come paesi, in modo che possano davvero organizzarsi per una scuola democratica, non per una procedura burocratica. E, a seguire le altre.

Blog Mila Spicola Insegnante, pedagogista e scrittrice

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