La Corte bastona sempre gli Stati tranne se c’è da salvare un bambino

Esteri

Nell’83% dei casi la Cedu di Strasburgo ha emesso sentenze contrarie a quelle prese dai tribunali nazionali  Per Charlie Gardha ha fatto una delle poche eccezioni: se n’è lavata, le mani lasciando il giudizio all’Inghilterra

Milano 30 Giugno – Diritti per chi vuole abortire, per i detenuti, per i migranti, per i trans. E giù condanne per chi non li fa rispettare. Solo per Charlie Gard, il bambino inglese affetto da una patologia rarissima e ora a rischio di essere lasciato morire in un ospedale inglese, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) non ha voluto spendersi, dando ragione ai tribunali britannici che avevano sentenziato l’irragionevolezza di mantenere in vita il piccolo, dato che le cure attuali, se protratte, gli arrecherebbero non meglio precisato «danno significativo». Il che ha del paradossale, anche perché la storia della Cedu è letteralmente costellata di pronunce di condanna per violazioni di diritti. Basti pensare dal 1959, anno della sua istituzione, al 2013, la Corte ha emesso 15.947 sentenze relative agli Stati membri del Consiglio d’Europa, accertando in ben 13.324 casi almeno una violazione. Significa che in oltre l’83% dei casi dichiarati ammissibili, la Cedu ha tirato le orecchie agli Stati membri. Una tendenza consolidata nei decenni e caratterizzata dal contenuto marcatamente progressista dei pronunciamenti.

TENDENZA ABORTISTA

Nella primavera del 2011, per esempio, la Polonia fu ritenuta colpevole della violazione degli articoli 3 e 8 della Cedu, venendo condannata al risarcimento di 50.000 euro a una cittadina cui era stata negata, nel corso della gravidanza, la possibilità di effettuare test genetici sul nascituro, che dai primi accertamenti era risultato malato. Lo Stato polacco fu condannato per aver ostacolato, anche se in modo indiretto, il ricorso al diritto di aborto, colpa gravissima per i giudici di Strasburgo. Del resto, che l’aborto stesse a cuore alla Corte europea lo si era già compreso un anno prima, nel 2010, con la condanna emessa contro l’Irlanda, rea di non aver consentito a una donna malata di ricorrervi. La pratica abortiva non è però la sola a cui i giudici dei diritti dell’uomo tengono, come dimostra la condanna emessa nel febbraio 2013 con cui costoro hanno bocciato definitivamente la legge 40, stabilendo come, nella parte in cui vietava la diagnosi preimpianto alle coppie affette da malattie, la norma italiana in materia di procreazione assistita violasse l’articolo 8 della Convenzione europea. Ci si potrebbe chiedere che diamine c’entrino abortismo ed eugenetica coi diritti umani, ma meglio non farsi troppe domande dato che la lista delle singolari priorità della Cedu è ancora lunga. E vede come categoria considerata con un occhio di riguardo quella dei detenuti. Lo prova la sentenza emessa dalla Corte europea nel luglio 2014 sempre contro l’Italia. Motivo della condanna furono le violenze avvenute nel carcere di Sassari, i cui detenuti risultavano essere sottoposti a «trattamento inumano e degradante ». Sempre a tutela dei detenuti, i giudici di Strasburgo sono intervenuti ancora nel febbraio 2015, condannando il Regno Unito lo stesso Paese in cui Charlie Gard, secondo la Cedu, potrà tranquillamente essere lasciato morire -per aver impedito a oltre 1.000 di essi il diritto di voto tra ìl 2009 e ìl 2011.

QUESTIONE MIGRANTI

Oltre che per le donne intenzionate ad abortire e per i detenuti, a Strasburgo sembrano avere anche un debole per clandestini e migranti. A questo proposito, possono essere ricordati almeno un paio di casi conclusi con condanna di un paese a caso: l’Italia. Il primo, del 2012, è quello riguardante migranti somali ed eritrei provenienti dalla Libia, intercettati dalle autorità italiane e prontamente riportati in Libia. Un comportamento riprovevole, secondo la Cedu, dato che col rimpatrio costoro sarebbero stati esposti al rischio di maltrattamenti. Tre anni più tardi il nostro Paese è stato nuovamente condannato da Strasburgo nel caso Khlaifia e altri c. Italia, per tre motivi: per l’illegittima privazione della libertà personale subita da alcuni cittadini tunisini sbarcati irregolarmente sulle coste siciliane, per le condizioni, giudicate disumane e degradanti, toccate a costoro nel Centro di primo soccorso di Lampedusa e , infine, per la successiva espulsione inflitta agli stessi. In pratica, per i giudici della Cedu, i clandestini hanno diritto a essere trattati coi guanti bianchi e a essere ospitati in alberghi stellati fino quando non scelgono di rimpatriare.

MONDO LGBT

In tutto politicamente corretto, poteva forse mancare il mondo Lgbt? Le sentenze degne nota, in tal senso, sono almeno un paio. Con la prima, risalente al 2013, la magistratura europea ha condannato l’Austria stabilendo che è discriminatorio vietare l’adozione di bambini alle coppie gay, se i piccoli sono figli di uno dei due partner della coppia. E tanti saluti, chiaramente, al diritto del figlio a crescere con un padre e una madre. Un’altra perla sui diritti civili, gli infaticabili giudici di Strasburgo l’hanno confezionata nell’aprile di quest’anno condannando la Francia e stabilendo che è una grave violazione costringere un trans, per una modifica della carta d’identità, a un intervengo di riassegnazione chirurgica sessuale. Basta che una donna si senta maschio o viceversa, secondo la Corte europea, e subito le istituzioni debbono accodarsi, assecondandone ogni istanza.

A questo punto non stupisce che la Cedu, presa com’è a garantire aborti, diritti di detenuti, clandestini e trans, si sia scordata del diritto alla vita di Charlie Card. Infatti, pur non essendo formalmente un’istituzione dell’Ue (a differenza della Corte di giustizia dell’Unione europea), questa Corte ha nei fatti dimostrato di essere conforme alla cultura dominante europeista, oggi più che mai attiva contro i «muri da abbattere» da non essersi avveduta, evidentemente, delle picconate che sta sferrando contro un muro che invece andrebbe salvaguardato. Quello della civiltà.

Giuliano Guzzo (La Verità)

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