Milano 9 Luglio – Alla fine pare che il banco non salterà per il debito pubblico o per qualche evento traumatico esterno. Alla fine non cadremo per colpa di qualche attacco finanziario. Alla fine cadremo perchè tutto quello che avevamo costruito era pura commedia. Ecco, in quattro atti, la morte del capitalismo alle vongole.
Prologo.
Il Boom economico non lo ha fatto la sciura Maria che si scopre imprenditrice. Lo hanno fatto i colossi. Lo ha fatto la Fiat. Lo ha fatto Merloni. Lo ha fatto, male, anche lo Stato con le sue partecipazioni. Questo sistema reggeva e si reggeva su due pilastri. Si lavora sottocosto e si paga poco di tasse. Non esiste il welfare. E quando esiste è minimale. Questo sistema regge e si regge sulla tacita condizione che il posto di lavoro è una gentile concessione, la disoccupazione un’onta e che nulla sia dovuto. Dopo vent’anni di fascismo la prospettiva di uno stato balia un po’ paura la faceva. Ma il tempo passa. Le paure passano. Si innesca piano piano la scintilla della rivoluzione. E la rivoluzione, si sa, distrugge ma non crea.
Atto Primo.
Dal 68 al 92 ci giochiamo il jolly e tutto quello che era stato accumulato viene speso. Non parlo solo di finanza pubblica, ma proprio di patrimonio industriale. Le grandi industrie diventano il giochino dei sindacati di base. Le piazze si infiammano. Arriva la recessione. Lo Stato interviene sempre di più. Il debito e l’inflazione sono compagni di strada. Cosa succede nel frattempo alle banche? Colpite da un’ondata di liquidità cominciano a prestare senza grossi problemi. E nasce, o meglio diventa predominante, il mondo della piccola e media impresa. Che sorregge da solo il crollo della grande e regala negli anni 80 un altro boom economico. Questo secondo boom si basa su due pilastri. Le tasse vengono riscosse un tanto al kilo, perchè il grosso si paga con la svalutazione. Inoltre il rubinetto del credito è aperto a tutti e per tutti. Perchè la riserva frazionaria (devo tenere in cassa solo una parte di quello che i correntisti versano. Il resto posso prestarlo. Facendo così aumentare la massa monetaria, e quindi l’inflazione.) serve allo Stato per stare a galla. Questo sistema è insostenibile. Se è vero che l’inflazione ufficiale alla fine degli 80 crolla al 5%, è anche vero che dietro ha lasciato un sistema vulnerabile, vuoto al centro e privo di forza reale. Quando entriamo nel mercato comune si cominciano a sentire gli scricchiolii sinistri di una casa che ha fondamenta marce.
Atto Secondo.
Entriamo in Europa e non possiamo più barare. Dal 92 alla grande Crisi del 2008 il sistema smette di crescere. Qualcuno accusa Bruxelles di questo, ma è come prendersela col termometro perché ti misurano la febbre per via rettale. Il paziente mostra segni di anemia. Per vent’anni il debito cresce, ma il paese no. Siamo scollegati dai ritmi dell’economia globale. Questo ci mette al riparo dalle conseguenze più nefaste dei crack, ma non vediamo le vette dei mercati. Inoltre, a livello normativo, ormai la commistione tra banche e politica ha raggiunto la vetta. Nella stagione delle fusioni, per sconfiggere il nanismo endemico nelle banche del paese, la politica fa il pieno di posti nella governance delle banche. Il che porta gli istituti a fare due cose. Comprare titoli di Stato che non rendono un tubo, ma bloccano il capitale. E a prestare senza grossi criteri ad amici, parenti ed a progetti imprenditoriali senza grosso futuro. Questo ci ha protetto, come dicevamo, da quello che arrivava da oltre Oceano. Ma ci ha seppelliti vivi in una doppia morsa.
Atto Terzo.
Dagli usa arriva la recessione. E le nostre banche tengono. L’esposizione è ridicola. Due o tre le Banche in difficoltà, ma nel bailamme generali possiamo chiamarci fortunati. A nessuno sorge il sospetto che forse non sia propriamente positivo che il sistema sia così isolato. Come un piccolo paese senza rapporti con il mondo esterno, prima o poi il problema dell’incesto si pone. Ci sono voluti 5 o 6 anni di crisi economica, ma il dramma è emerso in tutta la tragicità nel trienni 2014-2016. Ricordate cosa facevano le banche negli anni 80? Ecco, in teoria, dopo non avrebbero più dovuto prestare a caso. Ma in pratica il problema non è mai smesso. Solo che invece di gestire la cosa dalla periferia con cifre sopportabili, lo si è cominciato a fare dal centro e con cifre astronomiche. Impiegate in operazioni dubbie. Prestiti rischiosi. Mutui che non dovevano esistere. Si chiedeva Noise from Amerika perchè abbiamo un tasso di sofferenze così alto rispetto al resto del mondo. Persino agli usa. Perchè i soldi che non andavano in derivati servivano a finanziare le clientele del sistema Italiano. Banca Etruria. Banca Popolare di Vicenza. E tante altre situazioni del genere sono nate così. Se nell’industria sono crollati prima i giganti, nel sistema bancario stanno crollando le seconde file. Il sistema Veneto è stato arginato perchè, come sempre, i Veneti hanno sopportato, taciuto e pagato i fallimenti di tasca loro. Il fondo Atlante è intervenuto, ma il grosso lo hanno patito gli imprenditori che prendevano i soldi e si prendevano i rischi del management. Etruria è andata diversamente, ma non di molto. Monte Paschi è ormai uno zombie, ma la morte lenta ha attutito il colpo. Carige è la prossima sulla linea di fuoco. Se cade Carige si porta dietro tutto il sistema perchè abbiamo finito le idee per barare creativamente.
Atto Quarto
Premessa. L’Europa impedisce aiuti di Stato alle imprese private. Ed ha ragione. Il problema, in Italia, è definire privato un sistema bancario in mano a fondazioni piene di politici. Qui ci sono solo due strade percorribili. Ci arrendiamo, nazionalizziamo il sistema, o per davvero e subito, o un po’ alla volta e per finta, oppure privatizziamo finalmente il tutto. Qual è la differenza? In un sistema privato puoi fallire. Il fallimento serve perché, anche nelle foreste più rigogliose, l’albero marcio è bene che cada per far crescere meglio i giovani virgulti. In un sistema come il nostro si arguisce che, al primo albero che cade, per effetto domino si porta dietro la foresta intera. Il pubblico puntella, sfoltisce e crea giardini. Se avesse mai funzionato sul lungo periodo questo secondo sistema, sarebbe certamente la cosa migliore. Ma ha storicamente creato solo oligopoli. D’altronde il ciclo economico nel nostro paese ha funzionato più o meno così: i figli hanno prima mangiato i soldi dei padri (atto primo), poi hanno mangiato quelli dei nipoti (atto secondo) infine, per tenere in piedi tutto, hanno reinvestito i pochi utili sopravvissuti ai primi due atti per puntellare il sistema. Solo che, man mano che la crisi proseguiva, sempre più capitali hanno preso la via dell’estero. O sono sfumati. I valori sono crollati. Ed ora un sistema svuotato da trent’anni di rapina sta crollando. Quando si propone di usare i soldi dei figli per iniettare cemento nella struttura si vaneggia. I soldi che servono non esistono nella realtà. Il sistema non è più autosufficiente. Non siamo la Spagna e nemmeno l’Irlanda. Siamo la Grecia, abbiamo una spesa notevolmente al di sopra delle nostre possibilità. Persino un default, fatto gestire alla politica, sarebbe in ultima analisi inutile, perchè riempirebbe di moneta stampata nel retrobottega un vuoto che chiede produttività. Impresa. Libertà. Mercato. Tutte cose che un paese vecchio, incattivito, abituato ad essere mantenuto e privo di nerbo non ha. Siamo sull’orlo del baratro e le banche ci stanno trascinando al fondo.
Epilogo
Alla fine ci faranno iniettare soldi che non abbiamo in un sistema che non ne ha bisogno e ci faranno guadagnare qualche anno che non avremmo dovuto avere se avessimo voluto salvarci. Alla prossima crisi, qualunque essa sia ci inventeremo qualcos’altro. Finchè non saremo raggiunti dalla profezia della Thatcher ed i soldi degli altri non finiranno.

Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,