Milano 16 Aprile – Non è uno scherzo, ma un progetto composito di efficienza e utilità. Ne relaziona Chiara Alessi su “La Stampa”: “Il Museo della Merda è un visionario ma efficientissimo progetto frutto del dialogo tra il proprietario di un’azienda che produce Grana Padano, Gianantonio Locatelli e l’architetto Luca Cipelletti, che cura anche questa mostra milanese.
L’idea è quella di uno stabilimento che unendo biomeccanica, arte ambientale, sofisticati sistemi di sfruttamento energetico, ricava dai circa 1000 quintali di sterco prodotti dai suoi bovini: metano, materia grezza per i manufatti (cominciando dai mattoni in “merdacotta” di cui è fatto) e naturalmente concime che torna ai 2500 animali che lo abitano trasformato in nutrimento. Come scrive bene Massimo Torrigiani, «Il Museo della Merda è un’agenzia per il cambiamento, un istituto di ricerca e di raccolta di fatti, documenti e informazioni sugli escrementi nella cultura, nella tecnologia, nella scienza e nella storia»: insomma è la sintesi del circolo più virtuoso che ci sia, il massimo di innovazione, sostenibilità, sfruttamento e al tempo stesso esaltazione della natura.
Nulla è lasciato al caso, eppure il caso fa tutto, come nella scelta dello spazio per questa mostra al Salone: il sotterraneo del palazzo rinascimentale di Francesco Pestagalli oggi sede di una scuola che ha precisamente lo scopo di unire tecnologia, ecologia e cultura e che per la settimana del design poggerà le sue fondamenta proprio sull’archetipo di questa miniera primordiale, la merda appunto.
Il Museo di Castelbosco contestualizza in questa mostra una sua prima collezione di prodotti: mattonelle, piatti, brocche e vasi che utilizzano lo sterco, senza stile, ma con una grazia, giustezza e universalità da design anonimo al tempo stesso profondamente antropizzato. Fanno da cornice a questi prodotti una serie di video che combinano alcune sequenze cinematografiche a tema – come “Il fantasma della libertà” di Bunuel – a scorci artistici (“Resurrection” di Spoerri) a contributi che il giovane Henrik Blomqvist ha ripreso direttamente sul funzionamento dello stabilimento piacentino. Di nuovo: arte, natura, progetto, rifiuto, riuso.
Una gita nelle viscere di questo spazio, può essere un bel clistere dal tanto design sporco, inconcluso, trasandato, per non dire coprolitico che si vede in giro in questi giorni.”
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