Per anni hanno rivendicato il monopolio dell’etica pubblica, si sono erette a giudici di comportamenti, linguaggi, intenzioni. Oggi, però, la cosiddetta “polizia morale femminista” sembra crollare sotto il peso delle proprie contraddizioni. L’indagine aperta dalla Procura di Monza nei confronti di alcune attiviste note nei circuiti del femminismo digitale — Valeria Fonte, Benedetta Sabene e Carlotta Vagnoli — porta alla luce un sistema di “vigilanza” privata, informale ma capillare, che si è spinto fino alla schedatura di nomi e alla persecuzione online.
La “lista nera”
Secondo quanto riportato da Repubblica, Valeria Fonte teneva un file Word che lei stessa definiva “la lista nera”. Un elenco di quattordici nomi, corredati da città, professione, numero di segnalazioni, eventuali screenshot e perfino dal numero di follower sui social. Non si tratta di un documento d’inchiesta giornalistica o di denuncia, ma di un vero e proprio inventario di “indesiderabili” — uomini e donne, noti e meno noti — segnalati per presunti comportamenti inappropriati, senza criteri, prove né contesto. Tra i nomi, compaiono figure di primo piano come Giuseppe Civati, Jacopo Melio, Lodo Guenzi, Dino Giarrusso, Emilio Mola, Valerio Nicolosi e Cristiano Caccamo.
Nel file, scoperto dalla Polizia Locale di Sesto San Giovanni durante le perquisizioni, emerge la logica della gogna preventiva: raccogliere, archiviare, classificare. “Abbiamo solo iniziato. Io ve lo dico”, scriveva Fonte in un post pubblico, mostrando la lista come fosse il preludio di una campagna di epurazione.
Dalle liste alle chat: l’altra faccia del moralismo
Il materiale sequestrato comprende anche migliaia di messaggi in una chat WhatsApp denominata “Fascistella”, frequentata da attivisti e figure pubbliche del mondo progressista. Dai dialoghi emergono insulti volgari e commenti discriminatori diretti contro esponenti istituzionali e culturali: dal presidente Sergio Mattarella a Liliana Segre, da Michela Murgia a Selvaggia Lucarelli, da Antonio Scurati a Cecilia Sala.
Proprio Scurati, oggetto di attacchi per un suo articolo, viene definito “pezzo di merda depensante”, con un’aggiunta di antisemitismo velato (“leccare il culo a mezza editoria, che è ebrea”). Parole che smentiscono in modo clamoroso il mito di una presunta superiorità etica del fronte femminista militante, che per anni ha chiesto rispetto, linguaggio inclusivo, cancellazione della violenza verbale.
Quando l’intolleranza si traveste da giustizia
Ciò che emerge dall’inchiesta non è solo un episodio di cronaca, ma un simbolo di crisi. La deriva di una parte dell’attivismo digitale femminista, passato dall’impegno per l’uguaglianza alla costruzione di un potere simbolico fondato sulla paura, sull’ostracismo e sulla denuncia pubblica.
La “polizia morale” che censurava battute, film, tweet e canzoni, predicando empatia e rispetto, si rivela — in alcuni suoi protagonisti — capace delle stesse dinamiche di bullismo e violenza verbale che dichiarava di combattere. Le parole usate contro Mattarella (“fascista bastardo vero”), contro il Papa (con bestemmie esplicite) o contro giornalisti come Pablo Trincia, segnano il punto di non ritorno: la perdita totale del senso della misura e della responsabilità.
Un fallimento politico e culturale
Questo scandalo, al di là dei rilievi penali, rappresenta il tramonto di un modello: quello dell’attivismo come tribunale permanente dell’opinione pubblica. Quando il femminismo smette di essere un movimento di emancipazione e diventa un meccanismo di controllo, il risultato è la delegittimazione del suo stesso messaggio.
L’inchiesta di Monza mostra che la violenza non ha genere, e che il moralismo, quando si fa potere, corrompe chiunque lo eserciti. La credibilità del femminismo digitale — già indebolita da toni sempre più settari e personalismi esasperati — esce a pezzi da questa vicenda. Il castello di superiorità etica si è sgretolato. E con esso, forse, la stagione dell’inquisizione social travestita da giustizia.

Giornalista pubblicista, opera da molti anni nel settore della compliance aziendale, del marketing e della comunicazione.