Le questioni giuste ma poste male di Trump all’Onu, la necessità di trovare un nuovo accordo tra grandi potenze, il nodo Taiwan, il compito degli alleati degli Usa. Rassegna ragionata dal web.
Su Euronews si scrive: «Nel suo discorso alle Nazioni Unite, martedì, il presidente degli Stati Uniti ha parlato a 360 gradi di questioni internazionali e interni. Ma Trump ha mandato un messaggio diretto all’Europa: le politiche sull’immigrazione “sono un disastro”. Nel suo primo discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite dal 2020, martedì a New York, Donald Trump ha inviato messaggi all’Europa e al mondo sui migranti, sulle guerra in Ucraina e a Gaza e sugli impegni per la lotta al cambiamento climatico. Il presidente degli Stati Uniti si è rivolto direttamente all’Europa ripetendo la propria convinzione che “l’immigrazione sta distruggendo il vostro patrimonio” e che tali politiche al pari di quelle di contrasto al cambiamento climatico sono un “mostro a doppia coda” che sta rovinando il continente europeo. “Se non fermate persone che non avete mai visto prima, con cui non avete nulla in comune, il vostro Paese fallirà”, ha detto Trump dal podio dell’Onu. “Sono il presidente degli Stati Uniti, ma mi preoccupo dell’Europa. Amo l’Europa, amo il popolo europeo. E odio vederla devastata dall’energia e dall’immigrazione, quel mostro a doppia coda che distrugge tutto ciò che si trova sulla sua scia”».
Con Donald Trump è il solito dilemma: disperarsi per la sua mancanza di cultura istituzionale e diplomatica, o concentrarsi sulle questioni di buon senso che pone?
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Su Formiche Giovanni Castellaneta scrive: «È un dato di fatto che il sistema delle Nazioni Unite, espressione di un mondo che non c’è più e che era il risultato dell’equilibrio di potere sorto all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, non riflette l’ordine mondiale attuale e non è più in grado di affrontare in maniera efficace le enormi sfide globali che caratterizzano l’epoca che stiamo vivendo. Servirebbe un rinnovamento complessivo, a partire dalla governance apicale riformando il Consiglio di Sicurezza, unico organo veramente decisionale che è ad oggi bloccato dai veti reciproci dei cinque membri permanenti. E bisognerebbe anche cambiare il modo in cui le Nazioni Unite sono organizzate a livello operativo: si tratta ormai di un’istituzione elefantiaca, dove l’amministrazione e la burocrazia hanno preso il sopravvento rispetto all’operatività e alle azioni sul campo, soprattutto con riferimento ai programmi di cooperazione internazionale e aiuto allo sviluppo».
Castellaneta ci ricorda come gli accordi sovranazionali sono frutto non del prevalere del “diritto internazionale” ma della storia che con le sue guerre segna i confini stessi del diritto internazionale. Il problema centrale della nostra epoca è trovare un nuovo accordo tra le grandi potenze come quelli che hanno segnato la storia dell’umanità (e che spesso ho già ricordato): il Trattato di Westfalia, il congresso di Vienna e la Conferenza di Yalta, senza passare attraverso una nuova guerra mondiale. Anche perché un’altra guerra mondiale dopo un’eventuale “terza” – come diceva Albert Einstein – la combatteremmo con pietre e bastoni.
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Sulla Nuova bussola quotidiana Andrea Orsini dice: «Il prezzo di un attacco a Taiwan – che è un paese potentemente armato – secondo la leadership taiwanese sarebbe talmente alto per la Cina, dal punto di vista militare, politico ed economico, che nessun governo cinese sano di mente lo farebbe davvero. La chiamano la “strategia del porcospino”. L’animaletto sa che non potrebbe mai sopravvivere ad uno scontro con un grande predatore, ma se dispiega i suoi aculei il predatore si farebbe così male che evita di attaccarlo. Un alto ufficiale americano mi ha riassunto così la situazione: “Taiwan potrebbe diventare l’Ucraina di Xi Jinping”. I taiwanesi sono molto più preoccupati dell’isolamento diplomatico e dell’impossibilità di partecipare ad organizzazioni internazionali come l’Oms e sono protesi ad incrementare gli scambi economici con l’Europa e gli Stati Uniti. Semplificando, si potrebbe dire che i dazi li preoccupano più delle portaerei».
Taipei, Kiev e Tel Aviv sono come la Sarajevo del 1914? Taiwan, L’Ucraina e Israele sono come i Sudeti del 1939? Come fermare la “terza guerra mondiale a pezzi”? Non certo con i deliranti scioperi di Maurizio Landini.
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Sul Sussidiario Carlo Pelanda scrive: «L’America, pur superpotenza, è ormai piccola come forza ordinatrice e portatrice di un monopolio della violenza in relazione alla scala degli impegni e dinamiche globali. Già lo scrissi nel libro The Grand Alliance (2007) e lo discussi con élite statunitensi sia democratiche, sia repubblicane: ottenni il riconoscimento realistico che l’America avrebbe avuto bisogno di aumentare gli alleati che contribuivano alla sicurezza ed al traino stimolativo per il complesso delle nazioni democratiche e compatibili».
Gli alleati degli Stati Uniti in tempi di talvolta sciagurate dichiarazioni trumpiane, devono “essere alleati” per “due” cioè per tutti e due i poli dell’Occidente (e senza mai dimenticare il terzo polo liberaldemocratico, quello indopacifico: Giappone, Sud Corea, Australia, Nuova Zelanda).
Ludovico Testa (da TEMPI)
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