La bomba (una e solo quella) sexy

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La suggestiva immagine di Marilyn circondata dal fungo della bomba atomica viene evocata, pur non apparendo, ne La rabbia di Pasolini film di poesia e documentari in cui l’autore associa la triste crudeltà dell’arma finale e la struggente tristezza del destino della diva vittima del consumismo. Il messaggio subliminale è che la bomba è sexi, la bomba è donna, la bomba (vista da lontano e dai suoi detentori) è eros, non foss’altro per le curve delle forme snelle dell’ordigno e dell’oggetto del desiderio. La Mariani, giovante insegnante, docente in Corea ed in Usa all’University di Chicago, si è cimentata sul tema Italian Literature in the Nuclear Age vincendo il premio Usa Modern Language Association 2022 per l’italianistica ed ha trovato poi l’edizione italiana ne Il Mulino, L’Italia e la bomba. Letteratura nell’era nucleare.

Delle pin-up trasformate in bombe sexy dell’arte, della storia, della letteratura, dell’imprenditoria, dalla West, alla stessa Monroe alla Hayworth Gilda l’atomica, alla Bardot, alla Fonda Barbarella, alla Basinger yuppy, alla Moana, all’animata Jessica Rabbit stile Dietrich, a Madonna, alla Bellucci del riflusso, all’aliena Jolie, alla Barbie aveva già scritto dieci anni fa la Rizzini in Storia della bomba sexy, sottolineando il discorso motivazionale al reclutamento ed alla guerra basato sull’invito di maliarde ingannevoli e consapevoli. Del resto Flaiano ne La guerra spiegata ai poveri faceva dire alla Signora del governo, Caro signore, l’unica maniera di smuovere i soldati è di prospettargli le guerre dal lato erotico. Questo spiega il favore incontrato dalle campagne coloniali. Abbiamo già un piano per l’ammissione della donna nella vita militare. Bisogna evitare che il popolo non faccia più quella cosa con l’entusiasmo di una volta. La simpatia dei consumatori non deve essere allontanata da un oggetto di così gran consumo.

Nel ’46 gli Usa condussero i disastrosi 4° e 5° test nucleare sull’atollo di Bikini con bombe aree e subacquee ma grazie al costume da bagno bikini, inventato da Réard a Parigi in quel medesimo anno, sembrò si inaugurasse l’atomica europea continentale, in realtà iniziata sugli atolli di Mururoa dai francesi solo nel ‘66 (e fino al ’96 con ben 193 esplosioni). L’atomica inglese invece è una gentile concessione di armi nucleari Usa realizzati dalla Lockheed nel’58 tanto che nel ‘74 venne precisato che il nucleare britannico si basa su tecnologie Usa e non può essere trasferito senza il consenso degli Stati Uniti. Il bikini rinforzò simbolicamente la femminilità della bomba. L’atomica sexy è il processo, scrive la Arnaldi in Bomba sexy-storia e mito della femminilità a cavallo del millennio, in cui la bellezza si è fatta gioco, affermazione, autogestione, stregoneria rivoluzionaria, affrancamento dalla maternità fino al protagonismo di registe, attrici, giornaliste dell’oggi incluse le ragazze sexissime, taccate e gran guerriere predominanti sull’uomo.

Così la bomba sexy ha portato alla vittoria la battaglia della bisnonna con l’esaltazione del sesso (suo proprio) e la criminalizzazione di quello del partner (mancato). Alla fine l’uomo perde le battaglie fondamentali del controllo dei conflitti, a causa della bomba e del confronto tra i sessi. A corollario perde anche il controllo sulla natura a causa del cambiamento climatico, gemello della bomba tramite tsunami dai nomi femminili. Inconsciamente dipinge i tre incubi in rosa.  Ci spiega la Mariani come la letteratura italiana resti estranea a questo percorso. D’altronde solo quella giapponese ha una sua specificità sul tema (letteratura dell’atomica di Hiroshima e Nagasaki). I nostri scrittori senza esperienza diretta, come anche sull’Olocausto, si rotolano in un crucifige moralistico legato alle colpe della guerra voluta dal regime.

Così Moravia, Pasolini, la Morante, Sciascia, Calvino (le penne scelte dall’autrice) trattano la bomba, la tecnologia e il futuro dell’umanità. La Morante scrisse molto della bomba, non solo in Pro o contro la bomba atomica ma anche ne La Storiadel‘74, dove la famiglia della maestra Ramundo, in particolare il figlio Useppe, soffre la minaccia della bomba, del nucleare e della corsa agli armamenti. Sciascia parlò de La scomparsa di Majorana, il fisico catanese del gruppo di via Panisperna di Fermi, sparito nel ’38, con l’idea di una volontaria rinuncia dello scienziato a ricerche destinate ad armi orribili. La bomba addormentata nel bosco è un racconto del ‘52 di Calvino, soggetto del ‘59 per il compositore Nono, dove l’ordigno innaturale, sganciato per errore in un bosco, scopre la via contro natura della società. L’inverno nucleare, raccolta di saggi e interviste usciti tra ‘82 e ’85 di Moravia riflette filosoficamente sulla minaccia nucleare uguagliandola alla catastrofe suprema. Moravia si impegnò molto per il disarmo attivamente anche come europarlamentare comunista dall’84. Il docufilm La rabbia del ’63 di Pasolini è un particolare documentario, di cui si è accennato all’inizio, in cui il poeta commenta il repertorio di spezzoni degli archivi del cinegiornale Mondo libero. Nell’operazione del produttore Ferranti vennero affiancate le parole degli opposti Guareschi e Pasolini. Si tenga conto che Mondo libero oggi apparirebbe retrogrado e reazionario al punto da prendere in giro Pasolini per gli occhiali da gerarca e con uno sketch di Pandolfi, Steno e Noschese (nel 2008 si ebbe la bella idea di sistemare democraticamente il docufilm cassando Guareschi). Il commento di Pasolini, tutto poetico, pianse la guerra, esaltò il decolonialismo, il femminismo e la guerra vittoriosa della rivoluzione cubana, deprecò la bomba estremo simulacro consumista. Guareschi rise su svilimento dell’arte, cementificazione, conformismo, lo spazio ed il consumismo, evidenziando tratti comuni con Pasolini da cui lo divideva l’anticomunismo.

L’analisi della Mariani inquadra intellettuali in un paese distrutto e soggetto alle minacce nucleari delle superpotenze del dopoguerra. La guerra, tra perdita di valori e fragilità umana, è assimilata alla malvagità del passato regime fascista ed, in continuità, alla bomba atlantista. C’erano infatti dal ’49 due bombe, l’americana e la sovietica. Le voci elencate si rivolgevano sempre contro la prima, in linea con le grandi manifestazioni di piazza che nell’ultimo trentennio del secolo scorso protestarono incessantemente contro l’atomica Usa, presente in Italia come in Germania, Olanda, Belgio e Turchia. Dopo una breve esperienza in Puglia, gli Usa rifiutarono sempre il controllo comune del nucleare detto a doppia chiave. Peccato che il contesto non sia stato ricordato malgrado (o forse per questo) il luogo della presentazione, l’università della California a Roma e la moderazione affidata ad una docente dell’istituto californiano, orgogliosa editorialista de Il Manifesto.

Moravia, Pasolini, la Morante, Calvino (meno Sciascia) si pronunciarono sempre con scritti e discorsi per l’immoralità della bomba americana, in linea con quanto propagandato dai comitati per la pace staliniani dell’immediato dopoguerra. La bomba (Usa) era violenza, paura, perdita d’innocenza, responsabilità collettiva, tragedia moderna. Appoggiarono le fortissime proteste negli anni ’80, per i missili Usa Pershing e Cruise stanziati a Comiso ma non sembrarono vedere il nucleare russo del ’49, il francese e l’israeliano del ’60, il cinese del ’64, l’indiano del ’74, il pakistano del ’98 ed il nordcoreano del 2006. Neanche la Mariani sembra essersene accorta come se la bomba cattiva restasse sempre una sola, quella americana. Eppure, oggi più che mai, in tempi di multipower nucleare dovrebbe essere chiaro che i grandi pericoli per la terra dalla bomba all’inquinamento provengono da molteplici attori la maggior parte non occidentali. L’autrice ha scritto il volume anni addietro quando dominava più la minaccia del cambiamento climatico che la proliferazione della bomba, per esempio, all’Iran. Anche dopo la prima guerra fredda, nell’epoca di una sola superpotenza, gli intellettuali italiani continuarono a lamentare il male della targa Usa dell’ombrello protettivo nucleare. Ora nella seconda guerra fredda, a rischio di multi deflagrazione nucleare, continuano a maledire quella targa. Magari concordano con il Rearm Europe senza chiedersi che senso abbia riempirsi di carro armati e aerei per un continente europeo che non solo resta senza arma nucleare ma addirittura vi ha rinunciato con il trattato di non proliferazione.

Per quanto il libro non ci si soffermi, la Mariani meritoriamente nella presentazione ha ricordato il dibattito nella classe dirigente di chi voleva l’Italia nel club nucleare. L’autrice ha ricordato i nuclearisti come il bersaglio delle critiche dei grandi letterati, peraltro non a conoscenza dei passi e dei dibattiti militari e diplomatici. Forse il principale nemico, sotto questo punto di vista, di Moravia, Pasolini, la Morante, Calvino non furono Fanfani e Moro, limitati all’atlantismo mediterraneo filoarabo, quanto Saragat, l’unico politico favorevole al nucleare nazionale. Il fronte dei militaristi nuclearisti italiano era tutto di esperti, burocrati, ambasciatori, militari come Gaja, segretario generale di Min Esteri, Ducci, Quaroni, Albonetti del centro energia nucleare, l’ammiraglio di Valdengo del Centro applicazioni militari energia nucleare, il generale dell’Aeronautica Fanali dell’Istituto Studi Strategici e della Difesa.

Su costoro il fato volle che si scatenasse il fango, gettato a piene mani da Paese Sera, l’Europeo ed Il Manifesto, con accuse di corruzione e colpo di stato, tra uno scandalo Lockheed e l’altro, nell’idea che solo gli eversivi ed i golpisti potessero essere favorevoli al nucleare militare e contrari alla cosiddetta non proliferazione. Di questa criminalizzazione furono lieti sia gli ambienti ispirati da Londra e Washington (cui viene dato per assodato il legame ai neofascisti) sia quelli vicini al Pci, poiché entrambi volevano la firma italotedesca sulla Non Proliferazione Nucleare del ’68. I nostri grandi letterati forse non si accorsero del trattato, firmato da Roma nel ’75 e divenuto di durata illimitata nel ’95 ma si indignarono e denunciarono molto per le ipotesi corruttive dando prova di una certa ingenuità.

Anche l’autrice sembra non voler approfondire. Alla luce di quanto sopra viene da chiedersi quanto veramente questi grandi scrittori fossero lucidi e consapevoli sulla geopolitica del loro tempo e quanto fossero vittime dell’adesione a schemi politici ideologici falsamente democratici. Viene da chiedersi quanto sia giusto che oggi gli studiosi, sull’altare delle belle lettere, delle metafore e dei simbolismi continuino non solo a coprire ma addirittura a elogiare l’evidente abbaglio interpretativo delle colpe di una sola bomba, nel mezzo della proliferazione delle bombe. Sacharov, uno degli inventori dell’atomica russa, visse una stagione di fama in Italia con tanto di cittadinanza onoraria all’epoca dello scontro da dissidente con Gorbaciov quando denunciò l’immoralità della bomba sovietica, ma nessuno gli andò dietro su questo discorso .

Allora meglio tornare ai modi sperimentali, disimpegnati, deboli, paradossali, giocosi, metafisici ed allusivi dei grandi acculturati, meglio tornare alla bomba sexi, al bikini, magari al moralismo femminista e del dolore che affrontare le difficoltà della geopolitica. Tanto gli scrittori oggi sbagliano proprio come quelli di ieri ma scrivono molto peggio.

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