Di Napoli tutto si può dire meno che sia una città di fessi, abitata e guidata da fessi. Furbi, magari si, oltre che allegri e fantasiosi, spesso intelligenti e spiritosi, a volte indolenti, mariuoli e malandrini, tra vajasse e guappi, comunque dotati di destrezza, uso di mondo e capacità di intortare, sin da piccoli; ma anche tanti cuori generosi, amabili, carichi di umanità. Insuperabili nell’arte di arrangiarsi per campare. Da piccolo pensavo che Campania derivasse proprio dall’arte di campare e dall’industria inventiva di tirare a campare, la più fiorente nella Regione.
In politica Napoli ha avuto, per non andare indietro nei secoli, fior di regnanti e ben tre presidenti della Repubblica, qualcuno magari discutibile, ma non certo imbecilli. Napoli col suo reame meridionale e poi regionale, ha avuto politici di grande levatura e di elevato spessore umano e culturale; a volte anche mascalzoni, imbroglioni e corrotti. Ne abbiamo visti tanti di politici napoletani, sia a destra che a sinistra e al centro. Qualcuno andò pure in galera. Ma fessi mai. Citando alla rinfusa, potreste mai definire fessi Cirino Pomicino e Di Lorenzo, Valenzi e Bassolino, Gava e Scotti, Lauro e tanti esponenti missini? No di certo.
Anche gli ultimi due eletti con la sinistra, Gaetano Manfredi, sindaco in carica di Napoli, e Vincenzo De Luca, governatore uscente della Campania, sono due figure assai diverse per temperamento, ma di spessore culturale, di indubbie capacità amministrative e intellettive, personalità sveglie. Criticabili se volete, controversi. Ma fessi mai. Non potreste mai, cari napoletani, riconoscervi in un fesso, non sarebbe da voi, sarebbe un oltraggio alla città. La città di Vico e di Croce, di Totò e Edoardo, di Massimo Troisi e Luciano De Crescenzo non può finire nelle mani di un fesso. Sarebbe come ridurre i De Filippo a Pappagone. Rinneghereste la vostra città e la vostra indole, la vostra notoria intelligenza e la sua servetta praticona che è la furbizia, la vivacità di spirito e di sentimenti. Un fesso regnante a Napoli sarebbe la punizione più tremenda per una città che la sa più lunga di Roma, anche perché nata prima della Città Eterna; per giunta fecondata dallo spirito greco e levantino, che è sempre mente fina, anche quando è contorta e maliziosa.
Chiudo la mia perorazione accalorata in difesa della Napoli intelligente e pensosa, assicurando che ogni riferimento a persone e fatti presenti è puramente casuale, si parla di generi e non di casi; e passo alle prossime elezioni regionali. Qui a Napoli si vota, e dico qui perché scrivo questo pezzo mentre sono nella Capitale del Sud a presentare il mio nuovo libro: dunque passo da Nietzsche a Marx ai candidati in corsa. Salto pindarico. Come sapete, il favorito in partenza, secondo i sondaggi e le previsioni, è Roberto Fico, candidato della sinistra e dei 5 Stelle, insomma del Campo largo. Però la previsione più facile, visti i candidati, è un grande astensionismo per autodifesa della propria dignità di cittadini.
Fico è l’unico frutto fuori stagione rimasto appeso all’albero dei grillini, almeno tra quelli di prima linea della prima guardia. Anche l’astuto Luigi Di Maio si è eclissato, pur assicurandosi una buona rendita di posizione. E con lui Di Battista, Toninelli, Bonafede, perfino Grillo. Di un partito che ebbe la maggioranza assoluta è sparito tutto, salvo l’Avvocato che ne rilevò il marchio e se ne intestò la guida; del vecchio movimento è rimasto il dessert di fico servito in barca.
Fico è diventato a Napoli la foglia omonima per coprire le vergogne della sinistra che ha voltato le spalle a un talento di governo e di spettacolo come Vicienzo De Luca. La sua candidatura è uno sfregio pure al sindaco in carica, che è stato Rettore Magnifico.
Di Fico ci occupammo anni fa e vogliamo ricapitolare ciò che fece. Non preoccupatevi, non vi porterò via molto tempo, è poca roba. E del suo gozzo in mare non c’importa un fico secco. Ve lo ricorderete il giorno della prima comunione quando andò a piedi a presiedere il Parlamento per far capire che lui è uno della gente e non prende auto blu. Costò un sacco mandarlo per le strade con la scorta e la sorveglianza a distanza, molto più che un viaggio in un’auto blu. Poi passò al tram, giusto il tempo di farsi una foto da mandare in rete e staccare un biglietto. Ecco il cittadino Fico, comune pagante. Poi si adeguò a tutti gli altri e viaggiò in modo presidenziale con tutti i crismi previsti. I Palazzi sono una droga, ci si abitua presto, soprattutto se non hai robusti anticorpi culturali e non hai altro vero mestiere a cui tornare e altri titoli da esibire.
Lo vedemmo con le mani in tasca mentre intonavano l’Inno di Mameli; poi si fece Bel Fico, cioè Anima Bella, nella campagna insistente e vana su Giulio Regeni, che gli procurò le simpatie della sinistra. Poi lo avrete visto una volta di soppiatto nel cortile del Quirinale come un Fico ammaestrato al passo militare per andare da Mattarella a compiere quella sua missione inutile del mandato esplorativo per formare un governo, coronato da un folgorante insuccesso. All’impresa venne a mancare la fortuna, non il valore, assente già in partenza.
Ricordo che Fico ha come titolo di studio una laurea in canzone neo-melodica napoletana, e non nel senso che almeno cantava e si guadagnava da vivere per strada o tra i tavoli del bar passando poi col piattino e il mandolino; ma, peggio, studiava la fenomenologia di Mario Merola e la teoria trascendentale di Roberto Murolo. Studioso non di Machiavelli o di Filangieri, come si aspetterebbe da un buon politico e amministratore; ma di Gigi d’Alessio e Nino d’Angelo. Un genio poliedrico. Fico della Mirandola. Uno che fino all’età di quarant’anni inoltrati, cioè fino a che non vinse alla ruota della fortuna coi 5 Stelle, non aveva arte né parte ma si arrangiava tra hotel, ufficistampa, tessuti marocchini da smerciare.
Come abbiamo visto in alcuni casi recenti, la presidenza della Camera a volte peggiora gli eletti a guidare Monte Citorio. Fico non corse mai questo rischio, l’impresa di peggiorarlo era praticamente impossibile. Qualcuno perse la testa alla guida della Camera, ma perderla significava prima averla. Rappresentava l’ala più grillina dei grillini; prototipo depositato dell’ideologia apocalittico-pressapochista di Grillology, con scappellamento umanitario a sinistra e nenia da Fofò, Bebè e i Confidenziali. Di lui non si ricorda un pensiero, è incompatibile. Espresse più pensieri Andy Luotto, muta comparsa nei programmi di Renzo Arbore che Fico in tutta la sua carriera politica. No, Napoli, la Campania tutta, non merita di finire appesa a un Fico.
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