L’egemonismo planetario costruito da Xi Jinping, gli errori di Barack Obama e Donald Trump, i “vassalli” europei. Rassegna ragionata dal web
Sul Sussidiario Marco Zacchera scrive: «Il ragionamento che Xi Jinping propone ai suoi alleati è semplice. La politica dei due blocchi Oriente-Occidente è inutile, costosa e superata, le distanze non ci sono più, i problemi sono planetari. Allora si accetti che sia la Cina la nazione-leader e si lavori insieme per lo sviluppo. Ovviamente, per i recalcitranti, la potenza anche militare cinese è visibile e “disponibile”».
Tra il 2008 e il 2011, quando prima la crisi finanziaria poi quella da debito sovrano hanno scosso l’economia mondiale, Xi Jingping ha abbandonato – nel sonno di americani, francesi e tedeschi – la linea di Deng Xiaoping. Prevedeva la rinuncia all’egemonismo su scala internazionale, una dialettica tra partito ed esercito in Cina e la convivenza nello stesso Stato tra il sistema comunista e quello democratico di Hong Kong per preparare un superamento in tempi medi dei metodi dittatoriali. Così Pechino è diventata ancora più poliziesca al suo interno, si è ampiamente riarmata e con Brics, via della Seta, Sco, politica dello strozzinaggio dei debiti si è lanciata sulla via dell’egemonismo planetario.
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Su Huffington post it Marco Lupis scrive: «Dietro i sorrisi, le limousine di lusso e i brindisi tra leader, il vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Sco) oggi a Tianjin ha mostrato il volto sempre più esplicito di un progetto politico che ha poco a che vedere con la cooperazione, e molto con il consolidamento del potere personale. Se un tempo l’Occidente guardava alla Sco come a un fragile consesso asiatico, oggi è chiaro che si tratta di una vera e propria alleanza che vorrebbe competere con l’Occidente».
Molta parte dei successi politici cinesi nascono da errori e posizioni ambigue occidentali: da come la Francia e la Germania voltano le spalle a Washington nel 2003, a come Berlino si affida all’export cinese per trainare lo sviluppo, a come Barack Obama si dedica a offendere Mosca risvegliandone una tendenza imperialistico-zarista, fino a quando Donald Trump usa toni sconsiderati nei suoi rapporti con Nuova Delhi.
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Su Formiche Marco Di Liddo, direttore del Cesi, dice: «Scardinare un ordine internazionale costruito all’indomani di un conflitto mondiale non è mai facile: i vincitori impongono le regole ai vinti, che devono accettarle. Oggi, invece, assistiamo a una transizione segnata da tanti focolai di crisi, piccole scosse di assestamento che nel loro insieme stanno ridefinendo gli equilibri globali».
Costruire un nuovo ordine internazionale, spiega bene Di Liddo, senza nuove guerre mondiali è operazione assai complessa: si deve cercare di farlo con piccole scosse di assestamento, man mano modificando gli equilibri globali. Difficile. Non impossibile.
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Sulla Nuova bussola quotidiana Eugenio Capozzi scrive: «Occorre domandarsi: è realistico pensare alla Sco come ad un vero e proprio schieramento alternativo all’Occidente? La risposta allo stato attuale non può che essere negativa. Le convergenze tattiche tra i paesi aderenti all’Organizzazione o al forum non eliminano le grandi diversità e contraddizioni di principi e interessi che sussistono tra loro. La Sco, come e più dei Brics, è per ora ben lontana dall’essere un nuovo “Patto di Varsavia”, ed è priva della compattezza dei G7.
In particolare, poi, se Modi viene spinto dal braccio di ferro con gli Stati Uniti a rinsaldare i suoi rapporti con Pechino, è pure vero che l’India ha sempre avuto, e continua ad avere, interessi geopolitici estremamente divergenti e conflittuali rispetto alla Cina, e si può prevedere che cercherà di evitare ad ogni costo di diventarne vassalla. Il passo falso indubbiamente compiuto da Trump con la forzatura sulle tariffe non annulla il fatto che negli ultimi anni Nuova Delhi ha costruito relazioni sempre più strette con gli Stati Uniti, che le sono essenziali proprio per sfuggire alla “trappola” cinese: in particolare con la partecipazione all’accordo Imec, o “Nuova via del cotone”, per un corridoio infrastrutturale commerciale dall’Oceano Indiano al Mediterraneo attraverso Arabia Saudita e Israele.
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Per non parlare poi della presenza, per lei imbarazzante, nella Sco del Pakistan, con cui fino a pochi mesi fa è stata in guerra, fermata proprio dalla mediazione del presidente americano. Si può prevedere che nel prossimo futuro Modi e Trump torneranno a parlarsi, e avranno entrambi interesse a ricostruire un rapporto. In quanto a Putin, egli sa benissimo che già oggi si trova in una posizione pericolosamente subordinata rispetto a Pechino. E, se usa il gioco di sponda per guadagnare qualche posizione nel gioco negoziale dell’Ucraina, deve stare però molto attento a controbilanciare l’ingombrante “protezione” di Xi proseguendo sulla strada di ricostruzione delle relazioni con gli Stati Uniti aperta dal vertice di Anchorage, per evitare che il suo paese venga definitivamente fagocitato dal Dragone. Infine, è evidente che il regime iraniano, nonostante le difese d’ufficio dell’organizzazione, ne rappresenta un membro molto imbarazzante per i principali “azionisti”.
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Che infatti non hanno mosso un dito quando è stato attaccato da Gerusalemme e Washington, e sanno bene che negli equilibri mediorientali esso è stato inequivocabilmente, forse definitivamente, ridimensionato. Insomma, l'”Anti-Occidente” a guida cinese per ora è soltanto una prospettiva ancora lontana dal concretizzarsi. Tuttavia, l’Occidente farebbe bene a non sottovalutare la sua possibile evoluzione futura. E a porre in atto ogni sforzo per separare i suoi principali contraenti, sottraendo per quanto possibile Mosca e Nuova Delhi all’egemonia di Pechino».
Capozzi con il suo abituale acume spiega che le tappe di un consolidato egemonismo cinese sono ancora molte. Certo che un Occidente guidato dagli sconsiderati Donald Trump ed Emmanuel Macron, con tante personalità “europee” ormai “vassalle” di Pechino – da Pedro Sanchez, a Robert Fico ai nostri Massimo D’Alema, Romano Prodi e Giuseppe Conte – può riuscire a dare una bella mano a Xi Jinping.
Lodovico Festa (Tempi)
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