Dallo smart working al lavoro fisico: come cambiano i rischi professionali

Attualità

Il progresso tecnologico e la digitalizzazione dei processi hanno profondamente modificato l’organizzazione del lavoro, introducendo modelli ibridi e flessibili come lo smart working. Tuttavia, il graduale ritorno al lavoro fisico in presenza, in molti settori produttivi e terziari, sta determinando un rinnovato confronto con i rischi professionali tradizionali, ponendo l’accento su una ridefinizione complessiva delle tutele e degli strumenti di prevenzione.

Mentre il lavoro agile ha reso centrali problematiche connesse alla sedentarietà, alla mancanza di ergonomia e al rischio psicosociale, la riattivazione di mansioni operative, manuali o in ambienti strutturati reintroduce criticità legate a movimentazione di carichi, esposizione a agenti fisici e chimici, uso di macchinari e stress biomeccanico. Si assiste quindi a una polarizzazione dei rischi, dove quelli “emergenti” si affiancano e sovrappongono a quelli “storici”, rendendo necessaria una nuova cultura della sicurezza, capace di integrare approcci diversi.

L’adattamento della valutazione dei rischi nei nuovi scenari operativi

Con il mutamento dei contesti organizzativi, anche la valutazione dei rischi – documento cardine nella gestione della sicurezza sul lavoro – deve essere costantemente aggiornato. In ambito smart working, le aziende sono chiamate a rilevare e mitigare rischi invisibili, come l’isolamento, la disconnessione insufficiente, le postazioni inadeguate e i disturbi muscoloscheletrici dovuti a posture scorrette prolungate nel tempo.

Nel lavoro fisico, invece, la valutazione dei rischi torna a concentrarsi su elementi concreti e misurabili: rumore, vibrazioni, esposizione a sostanze nocive, rischio elettrico e antincendio. Ma anche qui non mancano nuove sfide: la pressione produttiva, l’intensificazione dei ritmi, e la continua interazione uomo-macchina possono generare fatica cronica, errori, infortuni e fenomeni di usura precoce del corpo. Questo scenario ibrido impone al datore di lavoro di adottare strumenti dinamici e multidisciplinari, capaci di anticipare le criticità prima che si traducano in eventi lesivi.

Malattie professionali e nuove classificazioni normative

All’interno di questo contesto complesso si colloca la riflessione su cosa si intende per malattia professionale, concetto che oggi va oltre la semplice correlazione tra esposizione a un rischio fisico e manifestazione clinica. La malattia professionale è definita come una patologia contratta a causa del tipo di lavoro svolto e dell’ambiente in cui esso si esplica, in cui l’agente causale è identificabile e scientificamente riconosciuto. Oggi, accanto a patologie respiratorie, cutanee, uditive e muscoloscheletriche, si impone il riconoscimento anche di disfunzioni cognitive, psichiche e neurovegetative, talvolta generate da condizioni di stress lavoro-correlato, iperconnessione o mancanza di recupero.

A conferma di questo ampliamento concettuale, il Decreto interministeriale del 10 ottobre 2023 ha aggiornato le tabelle delle malattie professionali, includendo nuove condizioni derivanti da modalità lavorative moderne e complesse. Il provvedimento ha dato rilevanza anche a patologie associate all’uso prolungato dei videoterminali, a sindromi da sovraccarico biomeccanico e ad altre forme di cronicizzazione connesse alla ripetitività o alla postura, riflettendo una visione evolutiva della tutela sanitaria dei lavoratori.

La transizione tra digitale e fisico: un rischio di doppia esposizione

Il passaggio da un ambiente digitale a uno fisico non avviene senza conseguenze per la salute dei lavoratori. In molti contesti si osserva una compresenza, più che una transizione netta: giornate miste, ruoli ibridi, alternanza tra smart working e attività operative in presenza. Ciò espone il lavoratore a una doppia vulnerabilità: da un lato i rischi legati all’immobilità, all’uso intensivo di dispositivi elettronici, alla deprivazione sociale; dall’altro, la riattivazione di dinamiche fisiche e logistiche che richiedono corpo, movimento, resistenza e presenza continua.

Tale compresenza comporta un ulteriore sforzo nella progettazione delle misure di prevenzione: serve un monitoraggio sistematico delle condizioni lavorative individuali, un aggiornamento continuo delle misure tecniche e organizzative e un’interazione più stretta tra medicina del lavoro, responsabili della sicurezza e direzione aziendale.

 

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