Il sovietismo magico

Esteri RomaPost

Sciamavano i bambini il 9 maggio, scesi dai pullman, nei pressi della Piazza Rossa. Portavano le kepke leniniane o i berretti kaki con la falce e martello, già indossati dai soldati che issarono sul Reichstag di Berlino il 30 aprile di 80 anni fa la bandiera della Vittoria. Sciamavano tra una folla immensa pronta a ammirare le più di diecimila uniformi, inclusi 13 eserciti stranieri, della parata moscovita. Nessun cellulare per loro dato il blocco di Internet e della rete mobile. Al presidente Putin sembra non bastare mai il trionfo della ricorrenza, celebrata personalmente nei decenni con sempre nuove sfumature. Nel 2005 per il 60esimo al suo fianco c’erano il presidente Usa Bush jr. e signora. Poi il 70esimo del 2015, dopo la presa della Crimea, e prima della famosa intervista del regista americano Stone, il primo a cedere alle fake russe. In quell’occasione comparvero il segretario dell’ONU e il presidente cinese Xi Jinping, con gli omologhi di India, Sudafrica e Cuba.

Putin e Xi insieme per il Giorno della Vittoria

Ora nell’80esimo Putin, forte di un milione di caduti nella guerra in corso, rincorrendo sempre più disperatamente il riconoscimento ufficiale di potenza per la Russia schiera la sua squadra di 25 presidenti. In prima fila Xi, il vietnamita, e tutti gli asiatici ex sovietici, ma anche il brasiliano Lula, il venezuelano ed il cubano, l’egiziano con il palestinese, il bosniaco (e non il serbo) accanto all’ovvio bielorusso fino all’europeo, lo slovacco Fico, vittima non consolata di attentato a colpi di pistola. Al contrario di Putinlandia, l’Urss che non aveva bisogno di riconoscimenti mise in campo le parate della vittoria solo nel 1965, 1985 e 1990.

L’atmosfera infatti sa di ritorno sovietico. All’inizio del quasi trentennio Putin celebrava soprattutto la potenza zarista russa aprendo la parata con la marcia zarista Slav’sya. Oggi sceglie per lo sventolio iniziale delle bandiere della Federazione e della Vittoria le marcie del reggimento Preobrazhensky (quello del colpo di stato del novembre) e della stalinista Guerra Sacra. La falce a martello sventola un po’ ovunque, alla Piazza Rossa come sui mezzi corazzati in guerra mentre i russi corrono a sostituire le bandiere ucraine con quelle sovietiche sugli edifici istituzionali a Mariupol, Kherson, Melitopol, nel Donbass; sui video di Telegram signore attempate portano trionfalmente la bandiera dei genitori, colonnelli in servizio attivo di Belgorod la sfoggiano sull’uniforme al posto della bandiera ufficiale. La falce e martello è memoria dei caduti di un tempo e di oggi; è trionfalismo militare di ieri che diventa mania della vittoria di oggi, l’imperversante Pobedobesie, letteralmente demonio della vittoria.  Il ritorno sovietico confonde tutto, vittime sovietiche, sconfitta del nazismo di ieri, martellante propaganda televisiva sul III Reich ucraino, nostalgia per l’impero sovietico perduto, mania della vittoria su Berlino, la futura marcia su Kiev. L’uragano di paradossi irrisolti (il secolare odi et amo tra russi e tedeschi, cioè europei, il conflitto tra partiti estremisti, la guerra patriottica, la rivoluzione universale, il nazionalismo grande russo e quello irreale sovietico) frastorna ma garantisce anche granitica unità. Dopo l’Ucraina la Russia si sentirà autorizzata a prendere di mira altri Paesi? I siti filo-governativi abbondano in questi giorni di presunte indiscrezioni, ovvero l’intenzione di Putin di proporre a Trump una nuova spartizione delle zone di influenza, come avvenne a Yalta nel 1945. a Mosca si torna a sognare.

L’estero dà il su contributo. L’europarlamento (nella risoluzione Disinformazione e falsificazione della storia da parte della Russia) vieta i simboli comunisti sovietici. La Germania proibisce ex lege l’esposizione della bandiera della vittoria e dei ricordi sovietici per le celebrazioni antinaziste. L’Ucraina li vieta dal 2015 dopo che l’ultimo leader filorusso di Kiev Janukovych, li aveva riportati in auge nel 2011. Divieti che ai russi sembrano prova provata della bontà delle cose sovietiche. Come recita un antico motto, ciò che ammazza il tedesco è vita per il russo, e viceversa. Come le sanzioni che hanno trascinato il Pil russo a massimi storici. Ora viene fuori che una copia della Bandiera della Vittoria è conservata religiosamente non solo nella Federazione Russa, ma anche nei paesi già membri dell’ex Unione Sovietica, incluse le new entry, le Repubbliche di Donetsk e di Lugansk. Escluse ovviamente Baltici, Moldavia e Ucraina. La Bandiera della Vittoria, firmata dai fucilieri bielorussi, 3ª armata d’assalto della 150ª Idritskaja, meritoria dell’Ordine di Kutuzov di II classe, con tanto di carico anti napoleonico, sembra con tutte quelle scritte un vessillo ottocentesco. La issarono un russo, un ucraino e un gruzino, fusi nelle nazionalità homines sovietici. Oggi la Russia guarda con fiducia all’unitarietà dei territori dove si parla russo. Il deputato federale crimeano Sheremet ha proposto l’associazione volontaria di stati sovrani in una nuova Urss. Secondo la RIA Novosti, l’idea dell’Unione, concepita per frenare l’aggressività americana, potrebbe andare oltre gli ex confini sovietici Altri parlano apertamente di annullare lo scioglimento dell’Urss del ’91 deciso da Etsin alla foresta Belovezhskaya. In Tv, il presentatore Solovyov, che trasmise la morte di Limonov in diretta, celebra una possibile nuova Yalta con l’amico Trump, una coalizione militare russoamericana per dividersi l’Europa, nel ritorno dell’era degli amici lupi Putin e Bush, Prima prova, la presa della Moldavia dove il recente referendum sull’adesione all’Unione europea è passato per diecimila voti di scarto (50,35% vs 49,65%). La fantasia di una nuova Urss si apre a tutte le eventualità. Potrebbe nascere in funzione anticinese. Oppure, al contrario, potrebbe includere l’impero di Pechino che spinge su una Siberia quasi deserta, abitata da solo 40 milioni di abitanti. Allora la Cina potrebbe improvvisamente confinare con l‘Europa.

Il pensiero magico sovietico c’era già stato sul finire del primo decennio del nuovo millennio. Allora l’euforia russa era dettata dall’arricchimento generale. Il giornale Stranà si chiedeva se il 2008 sarebbe stato l’anno della rinascita dell’Urss. Ora il potere perduto sembra più vicino perché la Russia non ha l’aiuto occidentale, sembra reggere alle sanzioni, corre sulle ali degli armamenti e si pone sola contro tutti.  Le incessanti richieste di tregua e pace la inducono a pensieri di vittoria. In effetti qualunque accordo sarà una conquista territoriale di pezzi di Ucraina, e dunque vittoria. Kiev non potrà aderire alla Nato, dunque vittoria. Difficilmente invece l’Ucraina sarà denazificata, vale a dire guidata da leader filorussi. Si perderà il senso dell’Operazione Speciale putiniana, e dunque sconfitta. Le angosce di un anno fa del premier Mishustin, di Karaganov del Consiglio di politica estera e del filosofo Dugin sullo stato dell’economia non sono scomparse ma riguardano la futura pace cui la Russia guarda con particolare angoscia.

In tempi di pace l’Urss rischia sempre di tornare paccottiglia di medaglie, spillette, busti, orologi da Porta Portese. Mosca dovrà pensare ai suoi ranghi di giovani scomparsi, ai suoi territori da ricostruire. Non potrà partecipare alla marea di investimenti necessari in Ucraina. Non potrà consolidare l’influenza sull’ex Asia sovietica senza l’aiuto cinese. Non potrà riportare l’economia di guerra ad uno stato di normalità senza l’aiuto americano. Le due opzioni si escludono a vicenda. Solo ora, nello stato umbratile del lento passaggio dalla guerra alla pace, la pancia della Russia profonda può baloccarsi sulla spartizione delle sfere di influenza, sul vanto da superpotenza, sul delirio di vittoria, sul sovietismo magico. Per questo nel suo sogno sovietico Mosca allungherà all’inverosimile il brodo dei tempi di pace. Senza ammettere la presenza di peacekeepers né sul suo territorio, né sulle aree cuscinetto, né sul quello del nemico confinante, cui non concederà nemmeno toni antisovietici. Resterà solo la minaccia di interventi diretti stranieri in caso di ripresa delle ostilità, caso da escludere finché durerà la presidenza Trump.  La pace, quando arriverà, svelerà solo due paesi slavi abbastanza distrutti ed impoveriti, a vantaggio degli altri (ma non degli europei). Fino ad allora imperversa il sogno magico dell’Impero perduto.

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