Urbanistica: “dalle istituzioni accuse gravi, si chiede confronto urgente con operatori”

Milano

Assistiamo da ormai un anno a un dibattito impietoso scatenato sulla testa del settore immobiliare milanese. Si accusa il comparto – una lunga e articolata filiera che, partendo dalle società di promozione immobiliare, coinvolge le imprese edili, i progettisti, le società di ingegneria, le industrie che producono per l’edificio, il mondo dei servizi immobiliari con un impatto pari complessivamente a più del 30% dell’economia italiana – per asseriti illeciti che una nuova legge, la cd. Salva Milano, andrebbe ora a “condonare”.

Se ne parla con singolare violenza mediatica, accusando quegli stessi operatori che sono i primi a pagare con enormi danni economici e reputazionali il prezzo dei limiti e delle ambiguità di una regolamentazione vigente ovviamente non creata da loro. Quelle aziende e quei professionisti che proprio su quelle normative e sulle loro prassi applicative comunali hanno investito ingentissime risorse economiche e professionali creando case, edifici multifunzionali, attrattività urbana e lavoro, con realizzazioni diventate in molti casi un vanto a livello mondiale per Milano e la sua Amministrazione. Perché va affermato chiaramente una volta per tutte che, in realtà, le operazioni immobiliari messe sotto inchiesta a Milano sono state tutte realizzate secondo le procedure semplificate previste dalla normativa nazionale (Testo Unico dell’Edilizia DPR 380/2001 e sue successive modificazioni fino all’art.10 del DL 76/2020) e regionale lombarda (legge 12/2005) per il recupero edilizio tramite demolizione e ricostruzione, quindi di rigenerazione urbana.

Crediamo, però, che questa caccia al colpevole con facili (ma falsi) stereotipi abbia raggiunto oggi un livello inaccettabile. Le dichiarazioni di rappresentanti delle Istituzioni di Milano che abbiamo letto in questi giorni costituiscono un attacco al settore qualitativamente diverso da quelli precedenti. E come filiera dell’immobiliare ci sembra paradossale che arrivi proprio dai rappresentanti di quella stessa Istituzione che ha costruito – a prescindere dalle specifiche persone – la normativa che abbiamo avuto solo la “colpa” di osservare e che è stata poi contestata dall’Autorità Giudiziaria.

La nuova, sconcertante, accusa ora rivolta al settore è di aver seguito una linea legata al profitto e non indirizzata ad uno sviluppo urbano “armonico”. Anzitutto, è pacifico che qualsiasi impresa si muova entro le regole e gli obiettivi del mercato e Milano è diventata la capitale economica dell’Italia proprio perché è da sempre la città più attrattiva per le imprese. È paradossale che proprio chi rappresenta Milano denunci la logica e le regole oggettive di quella imprenditorialità che l’ha fatta diventare grande.

Il vero problema di cui, invece, l’Amministrazione cittadina dovrebbe (pre)occuparsi è che oggi, con i vincoli normativi e i tempi effettivi richiesti dalla struttura comunale milanese per arrivare alle autorizzazioni, la disponibilità di nuove case a Milano è inadeguata alla domanda, determinando una “emergenza casa”, aggravata ora da una “impasse giudiziaria” che la politica non riesce a risolvere con la dovuta urgenza. Basta guardare ai numeri elaborati in questi mesi da analisti e istituti di ricerca, che evidenziano chiaramente la crisi abitativa che attende la Città di Milano nei prossimi 10 anni: una domanda che supera del 250% l’offerta di alloggi nuovi che il capoluogo lombardo oggi è in grado di garantire. Meno di 3.000 nuovi alloggi ogni anno (nel 2024 solo 2.400) immessi sul mercato in vendita o locazione contro una necessità di 9.900 senza aumento di popolazione. Un fabbisogno abitativo arretrato complessivo di oltre 50.000 alloggi che invece di diminuire aumenta ulteriormente, con la previsione di superare entro il 2027 il numero di 60.000.

Il problema a Milano non è, quindi, che si è costruito troppo, o che si è costruito male, o si è costruito dove non si doveva costruire: il problema è che non si costruiscono abbastanza case per rispondere all’emergenza abitativa del ceto medio, cioè della popolazione.

Di fronte ad un’emergenza abitativa che origina da un sistema normativo nazionale (pensiamo ad una fiscalità che favorisce gli immobili usati e quindi energeticamente ed ecologicamente inefficienti rispetto a quelli nuovi) e locale regressivo, vincolistico e burocratico, come reagisce l’Amministrazione comunale milanese? Con una facile accusa di marca ideologica (perseguire il profitto) e annunciando un aggravamento (invece che con un alleggerimento) delle condizioni realizzative attraverso un nuovo Piano di Governo del Territorio. Come l’ipotesi (anch’essa meramente ideologica) di obbligare la realizzazione di edilizia popolare (ERS) all’interno di interventi di mercato anche piccoli.

Ma come si può pensare che rendendo ancor meno economicamente sostenibili gli interventi di produzione di nuove case, questi aumentino anziché diminuire? Le Istituzioni – nazionali, regionali e comunali – dovrebbero invece riconoscere che se non c’è sostenibilità economica non ci sono realizzazioni e quindi dovrebbero fare quanto nelle facoltà di ciascuna per cercare di migliorare questa sostenibilità, come accade nel resto del mondo, e non il contrario. Perchè se davvero dovesse essere varato un nuovo PGT (peraltro a soli 5 anni dall’entrata in vigore di quello vigente firmato dallo stesso Sindaco Sala) con questi ulteriori vincoli, avremmo sicuramente meno edilizia normale, ma anche meno edilizia sociale, anche della già pochissima che se ne fa.

Le priorità per un PGT di Milano – se veramente si ritiene necessario modificare quello attuale – sono altre, ovvero: iniziare un serio coordinamento a livello infrastrutturale ed urbanistico con i Comuni metropolitani in un’ottica – quanto mai urgente – di “Grande Milano”; efficientare la burocrazia anche attraverso l’uso del digitale (a New York e a Singapore sta venendo utilizzata con eccellenti risultati l’intelligenza artificiale per lo sviluppo urbanistico: perché Milano dovrebbe essere da meno?); realizzare procedure autorizzative con tempi simili a quelli delle altre metropoli europee con cui si confronta Milano e, quindi, in grado di attrarre investimenti esteri.

Ci chiediamo: perché Milano non può crescere alla pari delle altre grandi metropoli internazionali? Perché, ovunque nel mondo, una città che cresce si sviluppa in altezza, si densifica per evitare il consumo di suolo e per limitare il traffico, riqualifica gli spazi degradati incentivando la demolizione e ricostruzione, segue un’urbanistica programmatica e non prescrittiva, ossia fa, in poche parole, proprio tutto quello che oggi non si fa a Milano e che la nostra categoria chiede invece, insistentemente e da anni, che si faccia.

Chiediamo all’Amministrazione comunale di Milano l’avvio urgente di un confronto reale con il nostro mondo, scevro da ideologismi e da demagogia e ispirato alle migliori pratiche ed esperienze internazionali in tema di urbanistica e rigenerazione urbana.

 

Milano Prossima*

*Milano Prossima è un progetto di coinvolgimento della società civile milanese tramite le sue rappresentanze, nato su iniziativa di ASPESI – Unione Immobiliare per contribuire pro-attivamente al dibattito sull’emergenza abitativa e sulla rigenerazione urbana di Milano. 

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