Trent’anni fa Milano fu la capitale della ‘rivoluzione’ che spazzò via la Prima Repubblica. Quella ‘rivoluzione’ si chiamava Mani Pulite e venne attuata da un pool di magistrati che indagarono sui finanziamenti illeciti e la corruzione della politica. A tanti anni di distanza esce un libro che “segna una svolta” nella bibliografia che finora ha raccontato Mani Pulite e i processi a Bettino Craxi.
‘Damnatio memoriae. Mani Pulite e i processi a Bettino Craxi’ (libertatesLibri), scritto dal giornalista Fabio Florindi e dall’avvocato Roger Locilento – si legge nella presentazione – scandaglia migliaia di carte processuali e ricostruisce l’atmosfera nella quale quelle inchieste maturarono. Quando scattano i processi destinati a cambiare la storia d’Italia, Di Pietro è pubblico ministero da una decina di anni, ma la sua figura è controversa: all’interno della stessa magistratura c’è chi ritiene che utilizzi metodi “eccessivamente inquisitori”. Anche Craxi è divisivo: c’è chi lo apprezza per il suo “decisionismo”, ma c’è anche chi gli muove una guerra senza quartiere e lo ritiene il cardine del vecchio sistema da smantellare. La pressione della procura di Milano, e di molta della stampa, è enorme. Alla fine Bettino Craxi riceverà qualche decina di avvisi di garanzia e due condanne definitive. Ma il metodo di indagine del pool di Mani Pulite è nel mirino di molti: l’accusa è di usare la carcerazione preventiva per estorcere confessioni, di cui a quel punto è lecito dubitare. Dall’analisi delle carte processuali – è la tesi degli autori – emerge un dato inconfutabile: non c’è un documento che inchiodi Bettino Craxi, le sentenze di colpevolezza arrivano sulla base di testimonianze, rese spesso da coimputati che avevano tutto l’interesse a sminuire le loro colpe e che nella stragrande maggioranza dei casi, sfruttando una legge dell’epoca, riferiranno quelle accuse solo ai pm, impedendo alla difesa di contro-interrogarli.
Craxi era un politico del suo tempo, accettava il finanziamento illecito ai partiti come qualcosa di normale. Ha sempre ammesso di essere a conoscenza del meccanismo in generale, ma ha rigettato le accuse di corruzione o concussione su episodi specifici. Alcuni passaggi delle sentenze citate nel libro “sembrano richiamare periodi bui della storia”. “‘Si può anche dar atto a Craxi – scrive la Corte d’Appello di Milano che conferma la condanna nel processo della Metropolitana Milanese – che in questo processo non è risultato né che abbia sollecitato contributi al suo partito né che li abbia ricevuti a sue mani, ma questa circostanza – che forse potrebbe avere un qualche valore da un punto di vista per così dire estetico – nulla significa ai fini dell’accertamento della responsabilità penale”. E la Cassazione dirà che “la prova della attribuibilità di singoli fatti storici (in ipotesi costituenti reati) a un determinato soggetto può essere ricavata anche da argomentazioni logiche'”.
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845