Theater of Dis-Operations

Sì a una una mostra collettiva che disinnesca la violenza, da ArtNoble Gallery

Cultura e spettacolo

La mostra milanese da ArtNoble Gallery dà una chiave di lettura della guerra e della violenza esplorando strumenti e simboli e creando nuove narrazioni per decostruirli. Da non perdere per la volontà di presentare un filo conduttore attuale che porta alla riflessione

Theater of Dis-Operations (Atto I. A Disarmament) è la mostra in corso da ArtNoble Gallery che mette in scena una diversa narrazione della guerra. In un mondo caratterizzato da una rappresentazione normalizzata della violenza, la collettiva milanese presenta ai visitatori una concezione non tradizionale delle armi, prendendo al tempo stesso posizione nei confronti dell’espansione del mercato bellico e della crescente tensione internazionale dovuta ai conflitti in corso.

L’esposizione, aperta al pubblico fino al 27 settembre, è l’esito di un progetto congiunto della galleria ospitante, ArtNoble Gallery, e Sa.turn Platform, mentre è curata da Arnold Braho con Stefano De Gregori. La direzione artistica e il design grafico sono invece firmati da Giordano Cruciani. L’allestimento, di cui sono protagonisti Agnese Barbarani, ArijitBhattacharyya, Paolo Ciregia, Critical Art Ensemble, Gaia De Megni, Thiago Dezan, ShadiHarouni, Infinite, Delio Jasse, Zazzaro Otto, Stefano Serretta e Francesco Vullo, esplora la definizione del “teatro delle operazioni”, come è chiaro dal titolo della mostra.

L’espressione, che indica l’area geografica in cui si svolgono le operazioni militari, viene qui rovesciata: gli artisti propongono infatti opere capaci di sabotare la violenza. Una pratica, questa, che amplia le possibilità del disarmo, non indagato solo in termini fisici, ma anche attraverso strategie di fuga, diserzione e “abbandono” per indebolire dalle fondamenta il paradigma della guerra. Scopo dell’operazione, renderne evidente la carica disfunzionale, e lo strumento principale di questa pratica è l’arte.

La mostra milanese indaga anche il concetto di “arma”, che assume qui un significato più ampio, ricomparendo sotto forma di dispositivi, ma anche strumenti e strutture simboliche come “stato”, “bandiera” e “nazione”, mettendo in campo una riflessione sui macrosistemi economici che contribuiscono ad alimentare un mercato della morte.

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