Trump, il costruttore di pace

Esteri

In mezzo alla retorica isterica dei liberal Usa manca, in Italia, qualcuno che dica come stanno davvero le cose. Ovvero che Trump, in Iraq, ha impedito una escalation con l’esecuzione di Soleimani. Ricapitoliamo con calma gli ultimi sei mesi. L’Iran ha deciso che lo Yemen era cosa sua ed ha riaperto la ferita, soffiando sulle ostilità e regalando altri sei mesi di guerra pagando le milizie sciite. Sempre a Giugno ha lanciato una serie di attacchi contro le petroliere che passavano attraverso il golfo di Aden. Ha anche attaccato e parzialmente distrutto un impianto petrolifero in Arabia Saudita. A dicembre ha abbattuto un drone Usa, gli ha ucciso un consulente, ferito diversi soldati e dato l’assalto all’ambasciata. Alla guida di tutte queste operazioni (illegali) c’era il terrorista Soleimani. Che ora sta contando le Urì con Allah.

Questi i fatti. Le reazioni Usa, fino a ieri, sono state precisamente zero. Ha lavorato la diplomazia. Hanno alzato le sanzioni. Non hanno fatto altro. Questo ha convinto gli Ayattollah che riconquistare l’Iraq fosse possibile, anche grazie alla non furbissima idea di ritirarsi dalla Siria. Solo che a Teheran hanno fatto un piccolo, ma non irrilevante, errore.

Hanno creduto che Trump fosse scemo. Ora Soleimani, ovunque si trovi, sta capendo l’entità del suo sbaglio. Il Presidente ha tollerato molto, perdonato qualcosa e risolto un problema alla volta. Ha ceduto la Siria a Putin, togliendogli qualsiasi ulteriore pretesa sull’area Mediorientale. E’ stato concesso un allentamento alla Cina in tema di dazi. Ha chiuso il dossier Ucraina. Adesso ha deciso di passare a quello Iraniano.

E gli Ayatollah si sono comportati precisamente come Trump si aspettava. Hanno mandato il loro uomo in prima linea, fuori dall’Iran, direttamente sotto le mura dell’Ambasciata. E lui l’ha abbattuto. Loro hanno perso le staffe e minacciato l’America. Al che lui, con calma serafica, gli ha spiegato che non intende invaderli, che la questione è l’Iraq. Ed oggi, qualche ora fa, ha abbattuto il capo di una milizia Sciita. La reazione dell’Iran, finora, è stata ricorrere agli organismi internazionali. Fine. A parere di chi scrive qualcosa nell’area succederà sicuramente, ma non ci sarà escalation.

Non ci sarà per alcuni elementi fondamentali. Primo, Putin è solidale sì con l’Iran, ma non ha mosso un dito per aiutarli. Non ha mosso mezzo soldato. Non ha intenzione di fare alcunché. La Cina non ha proprio parlato. Trump non è Obama, se piazzi due bombe lo fai solo arrabbiare di più. Non lo spaventi. E sapendo cosa succede con Donald furioso, gli altri grandi stanno un passo indietro. L’Iraq forse si riaccenderà, ma di sicuro l’Iran non ha potenze atomiche pronte a sfidare il mondo se dovesse scegliere di alzare la posta. Ovvero colpire Israele. Il quale, invece, è prontissimo a livellare Teheran, se dovesse servire. I rapporti di forza sono troppo sbilanciati per consentire una guerra.

Conflitto che, invece, sarebbe stato inevitabile se l’Iran avesse conquistato l’Iraq, creando una linea di rifornimenti continua tra sé ed Israele. Questo Trump lo sa e l’ha impedito. Salvando la pace. Pace che sarà pagata dal sangue dei soldati Americani. Come sempre negli ultimi 70 anni. E come sempre con gli insulti di una parte di destra che, non potendosi più dire francamente antisemita, ripiega su un antiamericanismo da centro sociale. Dimostrando che, davanti all’odio, cadono persino le barriere politiche più alte.

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