La “benemerita compagnia di giro del Leoncavallo” è spiegata con realismo in un’intervista rilasciata a Libero da Riccardo De Corato, presente da protagonista a Milano negli anni della sua nascita e del suo sviluppo. Per sfatare l’idealizzazione faziosa di una sinistra votata a una visione ideologica di pensiero unico acritico, riportiamo le dichiarazioni di De Corato.
«Le dico solo questo: entrando dentro il Leoncavallo, sui murales che adornano gran parte delle pareti, c’è la scena di uno che con una mazza aggredisce un poliziotto. Ma le sembra normale? È di queste cose qui che stiamo parlando». Riccardo De Corato (Fratelli d’Italia) non ha bisogno di presentazioni: ex vicesindaco a Milano, ex assessore alla Sicurezza di Regione Lombardia, attualmente deputato, è uno che il polso sulla città probabilmente ha più di chiunque altro. «Lì dentro per anni, per decenni, s’è visto di tutto».
Onorevole De Corato, cosa intende?
«Specie nell’ultimo periodo il Leoncavallo è stato un centro di eversione nei confronti della città e delle istituzioni».
È una situazione che dura da tantissimo: si può dire che si quasi si riesce a ripercorrere la storia di Milano passando per la storia del Leonka?
«Sono 31 anni! Guardi, facciamo un passo indietro. Torniamo al primo sgombero, quello di quando era ancora in via Leoncavallo. Era il 1994, il secolo scorso. Ecco, in quell’occasione, alla sera, avevamo diciotto agenti in ospedale».
Urca, così tanti?
«Dentro, asserragliati, s’erano trovati davanti centinaia di persone. Ma è stato solo l’inizio».
In che senso?
«A me, personalmente, hanno tirato sotto casa delle molotov e mi hanno riempito di scritte. Il 5 giugno del 1989, in piazza Argentina, sono anche stato aggredito».
Se lo ricorda ancora?
«Certo. Noi del Fronte della gioventù avevamo allestito una pagoda per una raccolta firme a favore dei ragazzi di piazza Tienanmen, era quel periodo lì.
Ero appena andato a prendere un panino, sono sbucati dal metrò. Ho rimediato quattro punti in testa, sono finito al Fatebenefratelli. Neanche a dirlo, la pagoda era distrutta e le vetrine del cinema che c’era in zona pura».
Dopo che è successo?
«Dopo quel primo sgombero agli inizi degli anni Novanta, per giorni e giorni gli antagonisti girati hanno cercato di occupare qualche stabile o area privata. Eravamo in pochi a opporci a questo fenomeno, sembravano dei seminaristi in cerca di un luogo dove edificare una chiesa. Nessuno diceva una parola. Siamo stati a noi ad affrontarli quando stavano per occupare i locali di un supermercato. A quel punto è arrivata via Watteau e, in un certo senso, per alcuni è stata una liberazione.»
Prego?
«Almeno hanno smesso di girare in quella sorte di processione cercando un luogo da occupare. È una battuta, non mi fraintenda: non s’è risolto un bel niente perché poi è andata come è andata».
E in definitiva com’era la situazione?
«Ha perfettamente ragione il ministro Piantedosi (Interno, ndr) a dire che ormai c’era una gestione affaristica: dentro quello spazio “autogestito” si facevano concerti, si fumava, ovviamente è facile immaginare che cosa. Era diventato un “centro sociale” per modo di dire, era più un centro di altre attività, di sociale non c’era niente».
Ora cosa succederà?
«Sono un po’ preoccupato perché c’era questa mezza proposta del Comune di dare un’area in gestione e non escluso che avvenga. Però, su questo fronte, molto dipende anche dai nostri consiglieri di centrodestra».
Mi perdoni, vieni?
«Noi riuscimmo, quando c’era Pisapia sindaco, a bloccare un’operazione analoga. Mi auguro che, se si dovesse ripetere, l’opposizione la contrasti con tutti i mezzi a sua disposizione».
L’operazione di ieri è stata un successo?
«Senza dubbio, però non chiamiamola “sgombero”. Gli agenti non hanno sgomberato niente, sono solo entrati, dentro non c’era nessuno. Forse erano tutti in vacanza».
Gli antagonisti al mare ma le polemiche in città. La sinistra meneghina ha ribattuto subito, cosa le risponde?
«Quelle polemiche ci sono perché la sinistra ha un concetto di legalità a doppio servizio. Quando si tratta di loro, guai a toccarli. Quando si tratta degli altri, si possono invocare anche i carri armati. È una vecchia storia. Per fortuna il governo Meloni ha una linea ferma sulla legalità, che prevale sempre sia con gli amici che coi nemici».
Eppure il sindaco Sala si lamenta che non è stato neanche avvisato…
«Sala al momento avrebbe altro a cui pensare. Senza contare che il gruppo Cabassi (quello che ferma la proprietà dell’area, ndr) ha avuto tre milioni di risarcimento. Adesso il ministero si sta rivalendo sull’associazione Mamma del Leoncavallo, ma intanto quei soldi li ha dovuti pagare e se li ha cacciati lo Stato vuol dire che li abbiamo sborsato noi italiani, io e lei e tutti gli altri contribuenti».
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