L’anno della Milano che verrà

Milano

L’anno della Milano che verrà

Il 2020 che si chiude ha segnato, in profondità, la nostra città. L’idea che ci potessimo sostenere prevalentemente col turismo, l’ecosostenibilità, le start up innovative e gli hipster democratici è franata sotto il peso della pandemia. La Disneyland di cartapesta si è sciolta sotto la tempesta. Ed ora siamo tutti immersi fino al ginocchio in una poltiglia fatta di sogni infranti, negozi che chiudono e prezzi delle case fermi. Fermi? Sì, grazie all’intervento chirurgico del Comune. Poi crolleranno anche quelli.

E fin qui, l’anno che ci lasciamo alle spalle. Ma cosa ci sarà in quello che abbiamo davanti? La scelta più cruciale. Lo riconosce anche Sala: non si può andare avanti come negli ultimi dieci anni. La Milano turistica non esiste più. Adesso dobbiamo davvero decidere cosa diventare. Lui propone di renderci una Roma in sedicesimi. Una città di uffici (pubblici), un po’ di turismo e tanto, tanto verde. Tutto pubblico. Sempre meno macchine. Sempre più biciclette, che qui sono più comode che a Roma. Con una popolazione fisiologicamente calante. Insomma, il declino di Milano. Con i grandi uffici in fuga verso Sud non rimpianti, ma sostituiti da… boh. Vedete, è questo il problema. Sala non ha un vero piano B per Milano.

La Milano produttiva, almeno. Sappiamo cosa stiamo perdendo e cosa rischiamo di perdere. Lo smart working è una cosa letale di fronte a prezzi immobiliari alti. Le sedi di rappresentanza sono belle, certo. Ma quanto ancora potranno essere mantenute vuote o quasi? È tutto qui, in questa domanda, il punto debole di Sala. Il suo piano regge, se l’epidemia finisce entro l’estate. Se dura fino a dicembre non ci riprenderemo più. Lui lo sa, ma dopotutto non gli interessa. Si voterà subito prima o subito dopo la bella stagione. Quindi decisamente prima che le conseguenze gli piombino addosso.

Quali le alternative? Molte. La prima è smantellare la mentalità dirigista che sta soffocando la libertà individuale in nome di ipotetici e futuribili disastri. Se non fosse chiaro, non è particolarmente utile impedire che i ghiacciai tra cento anni si sciolgano, se questo vuol dire far circolare il virus in metro oggi. Riapriamo le strade, riapriamo i negozi, abbassandone tasse, tributi e burocrazia. Consentiamo al genio Milanese di rinascere, libero dalle catene forgiate da compagni visionari. Lasciamo che siano i privati a decidere lo skyline di limano 2030.

Vogliamo un riassunto fulminante? Facciamo vincere l’Uomo. Sull’ambientalismo che chiude Don Mazzi per fare un favore alle zanzare. Sulla decrescita felice, che chiude le aziende per preservare il pisquano albino Malgascio. Sull’ideologia radical chic che vede nel piccolo imprenditore, nell’operai, nel dipendente privato delle categorie pericolosissime cui togliere spazi di rappresentanza e di dignità. Facciamo vincere l’Uomo su questa eutanasia economica del primo motore della produzione Italiana.

Per riuscirci, davvero, ci vuole poco. Basta smettere di presumere di saperne più di chi produce e intraprende. Basta smettere di credere che il Comune sia popolato da superuomini in grado di decidere il fato della città. In sostanza, basta tornare a credere in noi stessi. Nella grande città in cui noi, i nostri genitori e i nostri figli abbiamo scelto di vivere. A Milano non si nasce. Milano si sceglie. Ed è ora che questa torni una scelta vincente. Con meno Comune e più libertà.

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