Milano 23 Febbraio – Venerdì scorso un triplice attentato ha lasciato sul terreno decine di morti e feriti nella città di Al-Qoba, in Libia orientale. Tre auto sono esplose vicino ad una stazione di polizia della città, ad un distributore di benzina e presso la casa del presidente del Parlamento libico, Salah Issa Aguila.
Dal bilancio finale si citano almeno 31 morti e 40 feriti.
Gli agenti di sicurezza non sono stati in grado di precisare se fossero attacchi suicidi o autobombe con ordigni telecomandati. I soccorritori hanno detto che la maggior parte delle vittime si sono registrate presso il distributore, dove decine di veicoli erano in fila per rifornirsi di benzina, a causa di una carenza di carburante in città. Hanno inoltre aggiunto che il presidente del Parlamento, con sede a Tobruk, più a est, non era nella sua casa al momento dell’attentato.
La filiale libica del gruppo dello Stato Islamico, della famigerata organizzazione dei Fratelli Musulmani, ha rivendicato gli attacchi avvenuti ad Al-Qoba, aggiungendo che gli attentati sono stati eseguiti da due attentatori suicidi.
Nel frattempo numerosi miliziani dell’organizzazione terroristica nigeriana Boko Haram (sempre controllata dai Fratelli Musulmani) grazie alle permeabili frontiere africane e attraversando il Niger, si sono uniti alle milizie dell’Isis in Libia, costringendo l’Algeria e la Tunisia a dispiegare truppe dell’esercito ai confini con la Libia al momento protezione dei loro territori, blindando di fatto ogni valico con il territorio libico.
L’Isis, che al momento si è attestato nell’area occidentale della Libia, appropriandosi inoltre di parte dell’arsenale del vecchio regime, composto principalmente, da armi di fabbricazione cinese e dell’ex Jugoslavia oltreché di armi chimiche, in maggioranza iprite e sarin.
In una recente dichiarazione, l’Isis ha anche dichiarato di possedere dei missili scud che potrebbero colpire l’Italia meridionale ma non Roma. Questa notizia è stata però approfondita dall’Ambasciatore di Israele in Italia, Naor Gilon, il quale ha dichiarato, grazie a fonti realmente competenti in materia di terrorismo islamico, che l’Isis in Libia, al momento, non possiede missili.
Ma a far realmente paura è la possibilità che alcuni barili di uranio grezzo siano caduti nelle mani dei terroristi islamici: stando ad alcune fonti del legittimo governo di Tobruk, osteggiato solo dalla Turchia e dal Qatar, ma anche da voci che si rincorrono tra gli uffici della nostra intelligence, e da un’ispezione dell’Aiea, pare che si siano perse le tracce di 6400 barili contenenti un concentrato di uranio impiegato come combustibile nelle centrali nucleari. Questi 6400 barili, erano custoditi in un deposito presso la città di Sabha, a sud di Tripoli. Finite le ostilità contro Gheddafi, i paesi della coalizione responsabile dell’attuale situazione di instabilità in Libia, affidò ai ribelli il compito di distruggere l’arsenale chimico del deposto regime, peccato che proprio quei ribelli appoggiati dall’Occidente, hanno giurato fedeltà al califfo Al-Baghdadi.
Al momento l’unico paese ad aver aperto le ostilità contro le forze del califfato terroristico islamico in Libia è stato l’Egitto, appoggiato anche dall’aeronautica degli Emirati Arabi Uniti, stanno continuando a bombardare vari depositi e caserme in mano ai terroristi musulmani.
L’Occidente al momento pare non abbia il coraggio di attaccare realmente il terrorismo, applicando di fatto, la taqqiya: come l’Islam insegna, per salvaguardare la religione, Maometto e Allah si deve anche mentire, e pare che questo insegnamento i nostri politici, italiani, europei e della Casa Bianca, lo abbiano ben assimilato applicandola anche ora che l’Europa tutta è in serio pericolo.
E mentre l’Isis avanza, conquista territori in Medio Oriente, in Africa, sia settentrionale che sub-sahariana, Barak Hussein Obama, presidente degli Stati Uniti d’America, premio Nobel per l’inettitudine, insieme al Primo Ministro britannico, nonché banditore dei beni pubblici inglesi, David Cameron, giocano alla Guerra Fredda decidendo quali nuove sanzioni devono essere applicate contro la Russia dello statista Vladimir Putin, reo di aver contrastato sin dall’inizio della “Primavera araba” l’espansione del califfato in Siria.
Impiegato presso una nota multinazionale americana, ha avuto varie esperienze di dirigenza sia in campo professionale che in campo politico.
Scrive per Milanopost ed altre testate, soffermandosi soprattutto su Israele, Medio Oriente, Africa sahariana e subsahariana. Giornalista Freelance scrive più per passione che per professione.