Milano doveva ospitare la camera ardente di Arnaldo Pomodoro in uno spazio istituzionale: Palazzo Marino, Brera o Triennale

Milano
Coraggioso intervento di Antonio Calbi, il Direttore dell’Istituto italiano di Cultura a Parigi, sulla grave dimenticanza di cui il Comune si è reso responsabile verso Arnaldo Pomodoro, scultore e protagonista dell’arte Milano che è scomparso lunedì a quasi 99 anni.
Calbi, già direttore del settore cultura del Comune di Milano, ha scritto alla rubrica delle lettere della Cronaca di Milano del Corriere della Sera.
“Caro Schiavi,
mi ha colpito vedere che la camera ardente di Arnaldo Pomodoro non sia in una sede istituzionale, com’è stata prassi da sempre per gli artisti che hanno fatto grande Milano. Quando morì Alda Merini, di concerto con la sindaca Moratti decidemmo di allestirla in Sala Alessi a Palazzo Marino e la cerimonia religiosa in Duomo. La stessa sindaca Moratti chiese i funerali di Stato che vennero accordati. Il feretro di Giorgio Strehler fu accolto nel suo Piccolo Teatro, così com’è stato per Luca Ronconi, che poi accompagnammo in pullman in una piccola chiesetta in Umbria. Per Claudio Abbado, i cui funerali si tennero a Bologna, fu aperta la Scala, dove Barenboim diresse la Filarmonica creata dal maestro milanese, con la sala vuota di spettatori e in un palchetto soltanto i tre figli, ma fuori migliaia di milanesi si strinsero in un silenzio metafisico. Per il laico Dario Fo si decise per piazza del Duomo, fino al saluto a Umberto Eco nel chiostro della Rocchetta del Castello Sforzesco, a due passi dalla sua abitazione.
Aldilà dello struggente passaggio nel suo atelier di via Vigevano, che ci sarà la mattina di giovedì 26 giugno, dove Pomodoro ha creato le sue celebri sculture poi diffuse ai quattro angoli del pianeta, sarebbe stato giusto proporre alla famiglia, all’amata sorella Teresa e alle due nipoti Beatrice e Carlotta, ma pure alla cugina Livia (anche nel ricordo dell’altra cugina Teresa, con cui Arnaldo ha lavorato con i detenuti nelle carceri di San Vittore e Opera), di accoglierlo a Palazzo Marino, oppure a Palazzo Reale, oppure a Brera, oppure in Triennale, proposte che non sono state avanzate e certo non spettava alla famiglia avanzarle, raccolta com’è nel proprio dolore. La famiglia avrebbe declinato l’invito se Arnaldo avesse lasciato precise indicazioni. Pomodoro è patrimonio di Milano e dell’umanità intera, come lo sono i grandi artisti di tutti i secoli.
….Dispiace da lontano registrare ennesime sviste di chi amministra la città, peraltro duplicate nel mancato necrologio del Comune sulla pagina di ieri. È vero, cosa vuole che sia un necrologio cartaceo in epoca di diluvi di selfie cui ricorrono con gusto contemporaneo e punte di ingordigia assessori, ministri e primi ministri. A Teresa, Beatrice, Carlotta, Livia e al personale dello studio e della Fondazione Pomodoro va tutto il mio affetto e il cordoglio di un amico di lunga data del maestro, al quale mi legava un profondo affetto e convinta stima, ricambiati. Insieme abbiamo realizzato il poderoso volume Il teatro scolpito, pubblicato dall’amica Inge Feltrinelli, in cui abbiamo raccolto i suoi stupefacenti 50 progetti scenici.
In quei pomeriggi passati nella bella sede sui Navigli, ho raccolto anche la sofferenza di Arnaldo nella scelta di dovere chiudere la sede della Fondazione in via Solari, la prima riconversione alla cultura di una fabbrica nel cuore di Milano, reinventa con l’amico Pierluigi Cerri, e nelle cui fondamenta Pomodoro, nell’arco di molti anni, ha dato forma all’invisibile, plasmando ambienti metafisici e misteriosi, summa della sua ricerca sullo spazio, le superficie, la materia. Anche allora le istituzioni non si sono fatte avanti, se lo avessero fatto oggi avremmo ancora uno degli spazi espositivi e per la cultura più belli di Milano, uno spazio simbolo della sua storia di lavoro e di creatività. Dono di un uomo che ci ha nutrito di bellezza e saggezza e che merita il più alto rispetto e l’impegno della memoria.
E la risposta di GianGiacomo Schiavi, curatore della popolarissima rubrica delle Lettere al Corriere di Milano, è stata più contenuta ma non meno tagliente.
“Davanti ai vuoti di memoria di Milano ho pensato a una foto di Carlo Orsi in cui Arnaldo Pomodoro spinge una delle sue famose ruote come il masso di Sisifo, metafora di una fatica inutile perché il masso rotola sempre giù, nell’indifferenza generale. Di Milano, Pomodoro era intriso, nel talento e nell’anima. Dovevano essere le istituzioni a offrirgli l’omaggio della città che amava, se non in Comune, a Brera o alla Triennale. A volte Milano non sembra più Milano.”

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