La storia del “Boecc”

Vecchia Milano

Nel 1696, nella contrada di Santo Stefano in Borgogna, venne aperta la Canòva del Boecc, cioè la Vineria del Buco, a indicare un luogo molto piccolo. La piccola vineria venne aperta per soddisfare il bisogno di un buon bicchiere “di quello fresco”, dei vicini mastri vetrai e soffiatori. Si trovava infatti nei pressi del Boecc un antico e ben noto laboratorio di vetreria gestito da immigrati della Borgogna, che diedero poi il nome alla strada.

Il Boecc rimase una semplice vineria sino alla fine del Settecento, quando un cambio di proprietà introdusse anche dei piatti caldi oltre al vino. Ed è proprio negli ultimissimi anni del Settecento che divenne uno dei locali più conosciuti della città, nonostante l’esiguo spazio e l’eleganza molto spartana.

Oltre ad avere ottimi vini delle vigne del contado milanese, qualcuno dall’Oltrepò e dalle Brianza e una buona cucina, il Boecc era noto soprattutto per la sua clientela. Carlo Porta, l’abate Parini, Vincenzo Monti, Anselmo Ronchetti, il calzolaio di Napoleone, erano tra i clienti più noti e la loro sola presenza funzionava da magnete per molti altri milanesi, che non disdegnavano quattro chiacchiere e un buon bicchiere di vino assieme a cotanti letterati o uomini illustri.

Vista la stima che Napoleone aveva per il Ronchetti, che gli aveva risolto i problemi di postura e deambulazione grazie a degli stivali fatti su misura e per il Monti, che nominò poi suo personale Aedo e Poeta di Corte, non è da escludere che il corso abbia fatto visita al Boecc.

Grazie alla clientela famosa quel piccolo locale godette di ampia fama e anche dopo il ritorno degli austriaci non smise di dissetare i milanesi, anzi, iniziò ad accogliere tra i suoi muri i cospiratori risorgimentali e quando il 22 marzo del 1848 il Radetzky dovette fuggire nottetempo, l’oste del Boecc inventò il primo aperitivo di Milano, chiamato Il Quarantotto.

Si trattava di una mescita di vini con delle spezie segrete e ottenne un gran successo in quella Primavera di libertà. Il Quarantotto era conservato in bottiglie trasparenti, piene dell’aperitivo rosso e recanti un’etichetta bianca con su scritto 48 in verde.

Il Quarantotto ebbe vita brevissima, purtroppo, stante la fuga dei piemontesi e il ritorno degli austriaci. L’oste del Boecc nascose le bottiglie nella cantina e le poté tirare fuori solo nel 1859. La ricetta purtroppo andò perduta sul finire dell’Ottocento e il mitico primo aperitivo meneghino e italiano è ormai perduto.

Dopo l’Unità la nuova proprietà rilevò una serie di appartamenti e stanze che si trovavano nel caseggiato, oltre che al negozio con vetrina del contiguo sellaio. Divenne così una vera e propria trattoria. Cucina meneghina, risotto con l’ossbuss, cassoeula, verzata, busecca, polenta concia, rane fritte e vini, non più milanesi, dato che la filossera aveva fatto del tutto sparire le vigne nel contado, ma vini pavesi e della Valtellina.

L’insegna in ferro battuto della Trattoria del Boecc era opera del Rizzada, uno dei principali allievi del grande mastro ferraio Alessandro Mazzucotelli.

Nel gennaio del 1939 arrivò però il piccone risanatore, che iniziò a demolire il quartiere per allargare il sagrato della Basilica di San Babila e farne una piazza. Sparirono così la contrada di Santo Stefano in Borgona, la piazzetta di San Giovanni in Era, una buona parte della contrada della Cervetta e tutti gli edifici che vi si affacciavano, compreso quello che ospitava il Boecc.

La famiglia che gestiva la trattoria, i signori Montagna, staccarono così la grande insegna in ferro battuto, salvarono il bancone di quercia, le antiche botti e soprattutto un antico volume dove dai primi dell’Ottocento ponevano le loro dediche e firme i clienti. Tanti sconosciuti ma anche Giuseppe Verdi, Piccini, Otto Cima, Romussi, Catalani, Cattaneo, Hayez e addirittura la firma e un saluto del povero Amatore Sciesa, il patriota del “Tiremminnanz”, fatto fucilare dal Radetzky nel 1851, che cenò al Boecc pochi giorni prima di venire arrestato.

La Trattoria del Boecc rinacque così in via Porlezza, dove rimase aperta sino agli anni Sessanta, come si vede nella foto. La splendida insegna in ferro battuto andò sacrificata per lo sforzo bellico.

(Pagina Milano Scomparsa)

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