C’è il fumo attivo di chi fa uso di tabacco e sigarette, c’è il fumo passivo di chi aspira involontariamente quello di chi fuma, inalando sostanze cancerogene e che non può cambiare stanza per vari motivi. E c’è il fumo di terza mano, una forma di esposizione al tabacco invisibile ma altrettanto pericolosa. Rappresenta una reale minaccia per chi ne viene in contatto, ma soprattutto per i bambini e neonati.
Ma cos’è il fumo di terza mano? È quella patina di fumo che si deposita e resiste, si stratifica sulle superfici (come tessuti, tende, divani, carta a parati, mobili, pavimenti) e che rimane anche dopo avere fumato una sigaretta. Queste particelle frutto di combustione del tabacco, attaccate ai materiali, possono resistere e permanere nel tempo e permanere in loco anche per settimane, mesi, anni. Anche se invisibili, sono comunque presenti e non percepibili ai sensi umani.
Si tratta di un pericolo maggiormente significativo per i bambini perchè questi respirano più velocemente assumendo più particelle e sono spesso a contatto con superfici contaminate, pavimento, divani, tavolini, sedili d’auto e indumenti. Ed essendo la loro pelle più sottile, è più esposta ad assumere per via cutanea il fumo depositato. Per non parlare del fatto che mettono tutto in bocca. Da qui le conseguenze di un ambiente saturo di fumo anche quando si è areato. Sistema immunitario compromesso e maggiore esposizione alle malattie respiratorie come l’asma, alle infezioni e alle allergie, disturbi del sonno, fino all’estremo di disturbi cerebrali e cognitivi. Studi specifici hanno anche evidenziato delle alterazioni del microbiota intestinale e quindi sistemici di tutto l’organismo. Tenendo presente che il fumo delle sigarette elettroniche si lega ancora di più ai tessuti.
Un buon rimedio sarebbe smettere di fumare. Non riuscendo, fumare solo all’esterno di casa e auto. Cambiarsi i vestiti e lavarsi le mani dopo aver fumato. Non esporre i bambini al fumo. E se non è possibile, soprattutto, areare sempre gli ambienti dove si è fumato per minimizzare i rischi.
Eleonora Prina
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