Sono tornati i vitalizi, anzi rischiano di rivivere una stagione più gonfia che mai. Sono passati pochi anni e si è depositata a terra la polvere incendiaria dell’indignazione che fu, che si era levata contro una casta politica grottesca, meschina, opportunista ed interessata. Rassegnati, gli addetti scuotono la testa. Bisogna ripristinare i diritti e gli emolumenti già tagliati- dicono- perché a ondate si presentano i ricorsi dei danneggiati che inevitabilmente vincono facendo spendere più del previsto, con le aggravanti di mora ed interessi. Il Senato ha già ceduto, la Camera seguirà. I consigli regionali da parte loro aumentano ogni trimestre e semestre le retribuzioni degli eletti, le pensioni di quelli che lo furono, ripristinandone i vitalizi. I gruppi politici regionali tornano alle tentazioni dell’uso libero dei fondi assegnati, immemori del protocollo al tempo definito Batman.
L’indignazione un tempo era tutta contro i berlusconiani tratteggiati e definiti come unici grotteschi, meschini, opportunisti ed interessati. Ora però si fanno sempre più numerosi i pentiti di quella stagione giornalistica che ammettono la falsità della rappresentazione mediatica mossa dal puro odio di fazione. Al suo zenith, Grillo aveva allargato, dalla sola destra all’insieme di destra e sinistra, la descrizione calunniosa ed indignata della politica scandalosa. Giunti al potere, i grillini nelle costrizioni della realtà e della cucina politica in un anno si resero conto di essere anche loro oggetto delle medesime calunnie e indignazioni. Avendo ancora più bisogno economicamente dei loro predecessori, si sono riuniti a tutti gli altri con una totale inversione a U, tanto che a molti dei grillini oggi appare del tutto insensata la stessa campagna conclusasi nella legge sulla riduzione del numero dei parlamentari. Infatti, malgrado questo ed altri risparmi, il Parlamento costa, come costava prima, un miliardo l’anno.
Non è solo questione di peloso interesse personale. Il membro politico istituzionale si rende conto di contare meno del passato, sia per la mancanza della libertà di allocazione delle risorse pubbliche attraverso le leggi economiche per le tre quarti delle volte, sia perché è oggettivamente più debole economicamente di prima. Certo, ha stipendio, pensione e vitalizi più alti del cittadino ed elettore medio; ma è incommensurabilmente più debole economicamente, rispetto ad un tempo che fu, nei confronti degli esponenti della produzione e finanza private. Egli ed ella partecipano di partiti che hanno proprietà e reti economiche molto più ridotte, rispetto al tempo in cui i partiti erano praticamente delle medie multinazionali. Vivono in partiti la cui classe dirigente si rispecchia in una casta, ridottissima per numero, di manager di Stato, dato che il grosso delle ex aziende pubbliche, come molte private, sono in mano a proprietà straniere. Devono ridursi, in mancanza di proprietà, ai giochi di prestigio delle golden share il cui valore, in una economia di mercato, appare e scompare come un fantasma.
L’economia e la finanza sono globalmente forti nel nostro mondo, come e più degli Stati, tanto che si può dire che tra i belligeranti della guerra russo ucraina ci sia anche il signor Musk, sotto, nella classifica dell’impegno agli Usa e all’Uk, ma superiore all’Unione europea. L’economia e la finanza, nel modello anglosassone, non hanno bisogno del voto e della democrazia, bastano a se stesse corroborate dalla democrazia finanziaria degli stakeholders, miliardi di azionisti guidati da decine di migliaia di oligarchi. Al tempo stesso il voto premia sistemi oligarchici espressioni dei diversi interessi, tra cui quello dei lavoratori azionisti, con il principio dell’esclusione dell’ingerenza di Stato.
In Italia,in una via di mezzo tra modello anglosassone e continentale, la politica non è più espressione di oligarchie, rappresentative di diversi interessi; non è più espressione dello Stato imprenditore schumpeteriano; non riesce neanche a essere neanche più stakeholder delle masse dei lavoratori; è inerme di fronte alle burocrazie che coattivamente gestiscono i risparmi obbligati delle masse dei lavoratori, di fronte alla giustizia che amplifica o distrugge il valore di proprietà o di investimento; non premia o punisce, su criteri oggettivi, il burocrate, il giudice, l’insegnante che fa bene o male. La politica si è abituata ad abdicare nei confronti di decisori non eletti, pur di non indicare le proprie priorità a viso aperto. Il politico, giudicato ad ogni piè sospinto, è divenuto un nano di fronte al manager privato o al burocrate privatizzato sulla cui regolamentazione ed emolumento nessuno può eccepire niente.
Poi è arrivato al potere un partito che non ha un sistema economico di supporto proprio, distributivo e finanziario; che non gode del sostegno di un proprio giornale, che non ha Tv proprie o di riferimento, che viene sistematicamente denigrato nelle più importanti manifestazioni mediatiche, che ha pochissimi intellettuali ed accademici propri, i quali spesso pagano un caro prezzo, se non il posto di lavoro, per l’affiancamento. Un partito vintage che si fonda sull’antico metodo di presenza e rappresentanza sul territorio attraverso una diffusa militanza popolare, quando i principali partiti scelgono la rappresentazione tv dei loro esponenti o l’umiliazione dei propri iscritti di fronte ai capricci dell’opinione pubblica. È arrivato al potere un partito che vince per tutti questi motivi, che esalta la politica in quanto tale, che non ha mai denigrato le competenze ed i professionisti ma che si è sempre rifiutato di dare loro il potere politico. Che vince per queste ragioni e molto meno che per essere erede di posizioni alternative a quelle fondanti la Repubblica e per ribadire l’intenzione di ricostruire in altri modi il sistema istituzionale.
Anche questa vittoria ha indotto un ripensamento sulla sistematica denigrazione del politico, accusato di elezione truffaldina, di fancazzismo, di emolumenti esagerati. Tutte cose tralasciate e non giudicate per il burocrate, per il privato proprietario oppure manager, per la multinazionale. Il ripensamento è stato indotto dall’osservazione che il potere popolare si fonda sul voto e sulla selezione di eletti che devono essere forti, da ogni punto di vista, rispetto agli altri poteri che restano forti a prescindere dalle inclinazioni popolari.
A questo coro si è aggiunto anche il lamento dell’Espresso sul vuoto incolmabile del venire meno dei centri decisionali politici, della programmazione economica, conseguenti alla diminuzione del numero dei grandi gruppi capaci di agire sullo scenario economico mondiale, sulla sorte di Alitalia, Telecom, Ilva, sulla fine delle Partecipazioni statali. Lamento indotto dalla crisi del periodico, recentemente venduto dal gruppo Gedi degli Elkann\Agnelli all’imprenditore campano Iervolino che rischia di rilevare anche il gruppo Repubblica, ex casamatta dell’antiberlusconismo.
Si tratta ovviamente di lamenti e lacrime di coccodrillo. La rovina dell’editoria è parte del risultato di svendita del patrimonio industriale, conseguenza di decenni di antipolitica. La quale antipolitica è il risultato della faida politica interna di sinistra che fu antiberlusconiana perché proseguiva il precedente anticraxismo. Una classe giornalistica, mediatica, burocratica, politica, ancora in gran parte integra ed al suo posto, ha lavorato per decenni per distruggere l’avversario anche a costo di danneggiare i beni nazionali e la politica tout court. Non vi sono teorie sistematiche a spiegare tutto questo da parte dei nuovi detentori del paese, estranei a quella guerra civile. L’opinione pubblica popolare, pure parte del mondo grillino, intuisce però tutto questo quando sente il richiamo al ritorno della difesa del patrimonio nazionale, che è fatto anche della sua politica e dei suoi politici, prima difesa degli interessi popolari. Anche attraverso i vitalizi. Anche le teste più dure, toccate sulla loro pelle, capiscono le conseguenze delle loro azioni.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.