di Giorgio Goggi
Ho già argomentato, in un mio precedente scritto[1], come il Comune di Milano abbia rotto il patto sociale che legava il capoluogo alla sua area urbana, ovvero quel patto che consentiva a tutti gli abitanti di quel grande insieme di insediamenti, valutato dall’Eurostat in cinque milioni di abitanti, di essere parte integrante, a parità di diritti e di opportunità economiche, del sistema economico milanese.
La stasi delle iniziative atte a garantire la massima accessibilità al centro del sistema (come i progetti del secondo passante, delle nuove metropolitane, dei parcheggi per residenti, cancellati dai documenti di pianificazione, e inoltre del sistema degli interscambi), il grande sviluppo delle attività immobiliari di pregio, che hanno riempito la città di grattacieli e il contemporaneo disinteresse per l’edilizia popolare e l’allontanamento dei servizi dalla città (ospedali a Sesto San Giovanni, università a Mind) hanno configurato una politica altamente classista ed “estrattiva”[2], ovvero l’impiego delle risorse collettive a vantaggio di pochi.
La stasi dell’urbanistica dedicata ai cittadini ha comportato la vendita a privati di molte sedi comunali, sostituite da immobili assai meno accessibili; la cessione, ancora prevalentemente ai privati, tramite FS Real Estate, delle aree degli ex-scali ferroviari (che erano aree comunali conferite, ma mai vendute, a FS dal Comune), mentre nelle aree adiacenti alle stazioni si sarebbero potuti localizzare servizi che sarebbero stati accessibili su ferro a tutti i cittadini dell’area urbana e regionale.
Il macroscopico aumento dei prezzi immobiliari e degli affitti ha costretto all’esodo di molte famiglie milanesi verso i comuni esterni, sostituite da singoli in carriera, cosicché la popolazione di Milano non cala ma si compone di più del 35% di famiglie monocomponente.
Ora però l’intenzione “estrattiva” del Comune di Milano si accanisce contro i suoi stessi cittadini, oltre che con quelli dell’area urbana.
Iniziamo con la fobia dell’inquinamento. Già l’area C costringeva i cittadini a pagare un pedaggio per l’accesso al centro di Milano.
Tuttavia dai rilevamenti fatti dagli epidemiologi già ai tempi dell’Ecopass non risultava alcun miglioramento dell’inquinamento ambientale.[3]
Non dimentichiamo che a Sant’Angelo Lodigiano (13.294 abitanti), comune agricolo, si riscontrano spesso gli stessi valori d’inquinamento di Milano.
Ora però l’area B, che difficilmente potrà avere un effetto diverso visto che Milano non è posta sotto una campana di plexiglass, colpisce pesantemente i cittadini meno abbienti sia di Milano sia dell’area urbana, costringendo a cambiare l’auto chi ne possiede una non sufficientemente ecologica.
Intanto molti lavoratori, che non possono cambiare il loro mezzo, entrano in Milano prima delle 7,30 e ne escono non prima delle 19,30 per non sottostare alle regole dell’area B; sono valutati in 200.000 accessi[4]. Non dimentichiamo che dopo gli anni della pandemia molte famiglie hanno visto diminuire il proprio reddito.
Il Comune consente a chi entra in un parcheggio d’interscambio di vedere annullata la multa all’atto del ritiro del biglietto: non dice cosa succede se il parcheggio è completo.
Inoltre, il Piano Aria clima prevede che al 2035 a Milano non ci dovranno più essere in circolazione veicoli a motore termico.
Peraltro l’inquinamento è enormemente calato rispetto a quello presente negli anni ’70, ma ora è subentrato il timore del riscaldamento globale causato dalla CO2, cosa che è stata smentita da tutti gli scienziati seri.[5]
Inoltre, il Comune di Milano ha pensato di non realizzare la M6 come da tracciato del PUMS, ovvero dall’asse di Ripamonti verso l’estremo Nord-Ovest, l’unica grande direttrice di pendolarismo rimasta scoperta da una metropolitana, bensì come metropolitana interquartiere nell’area Sud della città, con un tracciato tutto interno al costruito milanese e non estendibile all’esterno.
Un tracciato destinato alla bancarotta economica (frequentato nelle ore di punta e quasi vuoto nelle ore di morbida), lasciando i pendolari in coda su via Ripamonti.
Altri aspetti della riqualificazione ambientale e paesaggistica della città, come la riapertura dei Navigli, foriera di una maggiore pedonalizzazione del centro storico, o il restauro della Conca di Viarenna (già inserito in bilancio) sono stati bellamente trascurati.
Oggi, dopo aver derubricato tutti gli interventi di cui si è detto prima, che avrebbero migliorato la vita dei cittadini e prodotto una maggiore equità tra i residenti nella grande area urbana e i milanesi, si affaccia un’altra proposta, quella di imporre il limite di 30 Km/ora a tutta la città di Milano.
E’ pur vero che la velocità media del traffico milanese è molto più bassa, ma eleminando le velocità di punta dubito che migliori, anche se alcune città, ben diverse da Milano, l’hanno sperimentata con successo. Inoltre l’ormai pressoché totale mancanza in strada della Polizia municipale renderà difficile il controllo e causerà conflitti tra chi osserverà il limite e chi lo violerà.
Ma, soprattutto, questo aumenterà il disagio per coloro che verranno dall’area urbana, ma che sono necessari al funzionamento economico della città.
Contro questi la politica milanese si scaglia, con l’obiettivo di ridurre le provenienze in auto in Milano, senza però realizzare le necessarie infrastrutture ferroviarie e metropolitane che potrebbero essere risolutive (i milanesi hanno sempre saturato le metropolitane appena aperte al pubblico, come avvenuto per la M5, già congestionata dopo poche settimane).
Peraltro, il trasporto pubblico non è così capillare da poter acquisire tutti gli spostamenti destinati a Milano, anche perché certe condizioni professionali di molti pendolari non lo consentono (pensiamo agli artigiani e alla grande quantità di operatori che necessitano di un mezzo di trasporto per le loro destinazioni).
In definitiva non si può dire altro che il Comune di Milano ha dichiarato guerra ai suoi cittadini.
[1] Giorgio Goggi, Le insidie dell’urbanistica milanese. Biblion edizioni, 2021
[2] Si veda: DaranAcemoglou, James A. Robinson, Why Nations Fail, Crown Business, 2012 (edizione italiana: Perché le nazioni falliscono, il Saggiatore, Milano, 2013
[3] Gli scienziati che si occupano delle conseguenze dell’inquinamento sulla salute umana, raccolti intorno alla rivista Epidemiologia e prevenzione, hanno criticato in modo radicale la metodologia adottata dal Comune di Milano e non hanno rilevato «nessuna variazione significativa» nei valori d’inquinamento della città prima e dopo l’applicazione dell’Ecopass, Si vedano le misurazioni effettuate nel corso del progetto EpiAir (Cfr. Cinzia Tromba “Il Comune di Milano dà i numeri dell’Ecopass” su Epidemiologia e prevenzione, n. 1-2, gennaio-aprile 2009; D. Nuvolone, A. Barchielli, F. Forastiere, idem, n. 3, maggio-giugno 2009 e sul supplemento al n. 6, novembre dicembre 2009). Non mi risulta che vi siano altre misurazioni di questo tipo, tuttavia i dati dell’ARPA rilevano un continuo lento miglioramento deli livelli di inquinanti.
[4] Cito il dato riportato dal Consigliere Carlo Monguzzi su Arcipelagomilano del 25.1.23.
[5] Duemila scienziati americani hanno scritto un documento smentendo questa ipotesi, da tutti creduta verità assoluta, lo stesso hanno fatto duecento scienziati italiani (tra gli altri Carlo Rubbia e Franco Prodi, il più illustre climatologo italiano), ma non sono stati ascoltati.
Urban Curator TAT mi ha pubblicato questo articolo:
La guerra dichiarata dal Comune di Milano contro i suoi cittadini
UCTAT NEWSLETTER N.52 – GENNAIO 2023
di Giorgio Goggi
Ho già argomentato, in un mio precedente scritto[1], come il Comune di Milano abbia rotto il patto sociale che legava il capoluogo alla sua area urbana, ovvero quel patto che consentiva a tutti gli abitanti di quel grande insieme di insediamenti, valutato dall’Eurostat in cinque milioni di abitanti, di essere parte integrante, a parità di diritti e di opportunità economiche, del sistema economico milanese.
La stasi delle iniziative atte a garantire la massima accessibilità al centro del sistema (come i progetti del secondo passante, delle nuove metropolitane, dei parcheggi per residenti, cancellati dai documenti di pianificazione, e inoltre del sistema degli interscambi), il grande sviluppo delle attività immobiliari di pregio, che hanno riempito la città di grattacieli e il contemporaneo disinteresse per l’edilizia popolare e l’allontanamento dei servizi dalla città (ospedali a Sesto San Giovanni, università a Mind) hanno configurato una politica altamente classista ed “estrattiva”[2], ovvero l’impiego delle risorse collettive a vantaggio di pochi.
La stasi dell’urbanistica dedicata ai cittadini ha comportato la vendita a privati di molte sedi comunali, sostituite da immobili assai meno accessibili; la cessione, ancora prevalentemente ai privati, tramite FS Real Estate, delle aree degli ex-scali ferroviari (che erano aree comunali conferite, ma mai vendute, a FS dal Comune), mentre nelle aree adiacenti alle stazioni si sarebbero potuti localizzare servizi che sarebbero stati accessibili su ferro a tutti i cittadini dell’area urbana e regionale.
Il macroscopico aumento dei prezzi immobiliari e degli affitti ha costretto all’esodo di molte famiglie milanesi verso i comuni esterni, sostituite da singoli in carriera, cosicché la popolazione di Milano non cala ma si compone di più del 35% di famiglie monocomponente.
Ora però l’intenzione “estrattiva” del Comune di Milano si accanisce contro i suoi stessi cittadini, oltre che con quelli dell’area urbana.
Iniziamo con la fobia dell’inquinamento. Già l’area C costringeva i cittadini a pagare un pedaggio per l’accesso al centro di Milano.
Tuttavia dai rilevamenti fatti dagli epidemiologi già ai tempi dell’Ecopass non risultava alcun miglioramento dell’inquinamento ambientale.[3]
Non dimentichiamo che a Sant’Angelo Lodigiano (13.294 abitanti), comune agricolo, si riscontrano spesso gli stessi valori d’inquinamento di Milano,
Ora però l’area B, che difficilmente potrà avere un effetto diverso visto che Milano non è posta sotto una campana di plexiglass, colpisce pesantemente i cittadini meno abbienti sia di Milano sia dell’area urbana, costringendo a cambiare l’auto chi ne possiede una non sufficientemente ecologica.
Intanto molti lavoratori, che non possono cambiare il loro mezzo, entrano in Milano prima delle 7,30 e ne escono non prima delle 19,30 per non sottostare alle regole dell’area B; sono valutati in 200.000 accessi[4]. Non dimentichiamo che dopo gli anni della pandemia molte famiglie hanno visto diminuire il proprio reddito.
Il Comune consente a chi entra in un parcheggio d’interscambio di vedere annullata la multa all’atto del ritiro del biglietto: non dice cosa succede se il parcheggio è completo.
Inoltre, il Piano Aria clima prevede che al 2035 a Milano non ci dovranno più essere in circolazione veicoli a motore termico.
Peraltro l’inquinamento è enormemente calato rispetto a quello presente negli anni ’70, ma ora è subentrato il timore del riscaldamento globale causato dalla CO2, cosa che è stata smentita da tutti gli scienziati seri.[5]
Inoltre, il Comune di Milano ha pensato di non realizzare la M6 come da tracciato del PUMS, ovvero dall’asse di Ripamonti verso l’estremo Nord-Ovest, l’unica grande direttrice di pendolarismo rimasta scoperta da una metropolitana, bensì come metropolitana interquartiere nell’area Sud della città, con un tracciato tutto interno al costruito milanese e non estendibile all’esterno.
Un tracciato destinato alla bancarotta economica (frequentato nelle ore di punta e quasi vuoto nelle ore di morbida), lasciando i pendolari in coda su via Ripamonti.
Altri aspetti della riqualificazione ambientale e paesaggistica della città, come la riapertura dei Navigli, foriera di una maggiore pedonalizzazione del centro storico, o il restauro della Conca di Viarenna (già inserito in bilancio) sono stati bellamente trascurati.
Oggi, dopo aver derubricato tutti gli interventi di cui si è detto prima, che avrebbero migliorato la vita dei cittadini e prodotto una maggiore equità tra i residenti nella grande area urbana e i milanesi, si affaccia un’altra proposta, quella di imporre il limite di 30 Km/ora a tutta la città di Milano.
E’ pur vero che la velocità media del traffico milanese è molto più bassa, ma eleminando le velocità di punta dubito che migliori, anche se alcune città, ben diverse da Milano, l’hanno sperimentata con successo. Inoltre l’ormai pressoché totale mancanza in strada della Polizia municipale renderà difficile il controllo e causerà conflitti tra chi osserverà il limite e chi lo violerà.
Ma, soprattutto, questo aumenterà il disagio per coloro che verranno dall’area urbana, ma che sono necessari al funzionamento economico della città.
Contro questi la politica milanese si scaglia, con l’obiettivo di ridurre le provenienze in auto in Milano, senza però realizzare le necessarie infrastrutture ferroviarie e metropolitane che potrebbero essere risolutive (i milanesi hanno sempre saturato le metropolitane appena aperte al pubblico, come avvenuto per la M5, già congestionata dopo poche settimane).
Peraltro, il trasporto pubblico non è così capillare da poter acquisire tutti gli spostamenti destinati a Milano, anche perché certe condizioni professionali di molti pendolari non lo consentono (pensiamo agli artigiani e alla grande quantità di operatori che necessitano di un mezzo di trasporto per le loro destinazioni).
In definitiva non si può dire altro che il Comune di Milano ha dichiarato guerra ai suoi cittadini.
[1] Giorgio Goggi, Le insidie dell’urbanistica milanese. Biblion edizioni, 2021
[2] Si veda: DaranAcemoglou, James A. Robinson, Why Nations Fail, Crown Business, 2012 (edizione italiana: Perché le nazioni falliscono, il Saggiatore, Milano, 2013
[3] Gli scienziati che si occupano delle conseguenze dell’inquinamento sulla salute umana, raccolti intorno alla rivista Epidemiologia e prevenzione, hanno criticato in modo radicale la metodologia adottata dal Comune di Milano e non hanno rilevato «nessuna variazione significativa» nei valori d’inquinamento della città prima e dopo l’applicazione dell’Ecopass, Si vedano le misurazioni effettuate nel corso del progetto EpiAir (Cfr. Cinzia Tromba “Il Comune di Milano dà i numeri dell’Ecopass” su Epidemiologia e prevenzione, n. 1-2, gennaio-aprile 2009; D. Nuvolone, A. Barchielli, F. Forastiere, idem, n. 3, maggio-giugno 2009 e sul supplemento al n. 6, novembre dicembre 2009). Non mi risulta che vi siano altre misurazioni di questo tipo, tuttavia i dati dell’ARPA rilevano un continuo lento miglioramento deli livelli di inquinanti.
[4] Cito il dato riportato dal Consigliere Carlo Monguzzi su Arcipelagomilano del 25.1.23.
[5] Duemila scienziati americani hanno scritto un documento smentendo questa ipotesi, da tutti creduta verità assoluta, lo stesso hanno fatto duecento scienziati italiani (tra gli altri Carlo Rubbia e Franco Prodi, il più illustre climatologo italiano), ma non sono stati ascoltati.
Giorgio Goggi
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