L’odore della povertà, della criminalità, del degrado.

Milano Società

Non si dice, ma si aspira con un sussulto, uno schiaffo all’anima. Senza la possibilità di neutralizzarlo, di calpestarlo, quasi fosse un maleficio. E’ l’odore di un’Italia, di una Milano con le illusioni senza vita, aspettando il tempo che si muove senza colori, senza fretta, guardando un sole indifferente, pensando alla giostra delle stagioni che promettono senza mantenere. E l’odore della povertà è nelle mani tese, nei giacigli di stracci e di cartone, nel silenzio del vicino di casa disoccupato, nella dignità delle lunghe file in attesa di un pacco di cibo. Un odore acre di rinuncia che non sa conversare, non sa gridare. E la memoria va al cicaleccio nei cortili delle case di ringhiera, al caffè profumato degli operai all’alba prima del lavoro, al pancotto, la sera per risparmiare. Ma era una povertà che sapeva di buono. Le maschere sono una sfida, per recitare al meglio la battaglia contro il nemico Covid, ma l’insofferenza è ingigantita da chi sa bruciare indisturbato leggi e buon senso. Con l’odore della protervia e della violenza che fanno paura, annientando i momenti quotidiani di socialità. Milano con l’asfalto dipinto, le saracinesche abbassate, le vetrine senza luce è il buio dell’illegalità, di una realtà manipolata dal degrado, dall’anarchia, dalla sopraffazione. Un odore che cancella il decoro, una quieta convivenza, la spontaneità. Allora si cantava ed era una melodia in cui ritrovare una città operosa, ironica, con uno sberleffo ai padroni, nelle osterie dove il Naviglio pare dormire. Ed era un canto che sapeva di buono. Ma che senso ha oggi “accogliere” chiunque e poi lasciarli lì, come pezzi estranei ad una società civile, nell’indifferenza delle istituzioni? Che senso ha non vedere, non capire anche la loro tragica incertezza? Gli odori, se così vogliamo chiamarli, si sommano, si ingigantiscono, creano egoismi e paura, senza un regista che riporti l’ordine, il decoro, il bello, la fiducia.

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