«Non è Renzi il problema del Pd, ma l’esaurimento della funzione storica di quel partito. Stiamo calcolando la più bassa soglia possibile per una forte riduzione fiscale. La flat tax farà aumentare il gettito per lo Stato»
Milano 30 Dicembre – Presidente Silvio Berlusconi, la legislatura si è appena chiusa: che voto dà a Gentiloni per il suo anno di governo?
«Certamente insufficiente sul piano dei risultati. Il governo Gentiloni, al di là della personale cortesia del premier, è stato il quarto governo consecutivo sul quale gli italiani non hanno potuto esprimersi. Il crollo verticale dei consensi della sinistra dimostra il fallimento politico di questi governi».
Che c’è di vero nella storia secondo cui la dirigenza del Pd non vede l’ora di disfarsi di Renzi? Lei che ne pensa?
«Non entro negli affari interni degli altri partiti. Ma non credo che il problema del Pd sia Renzi: il problema è l’esaurimento della funzione storica di quel partito. Analogamente a quanto sta accadendo a tutti i partiti della sinistra classica in Europa, che sono in crisi dappertutto. Come in tanti altri Paesi europei, anche in Italia la sfida è fra i moderati come noi, che si riconoscono nei valori liberali e cristiani del Ppe, e movimenti ribellisti, pauperisti, giustizialisti, come i grillini».
Come giudica l’ operazione Liberi e uguali? Come giudica i due presidenti delle Camere, che non si sono dimessi?
«Politicamente è la vecchia sinistra che si ripropone fuori dal tempo e dalla storia. Sul piano dello stile la scelta dei due presidenti non è elegantissima. Ma non è certo la prima volta. Molti di coloro che oggi criticano Grasso e la Boldrini difendevano a spada tratta un altro presidente della Camera, che nel 2010-2011 costituì addirittura un suo partito per far cadere il nostro governo».
Lei ha proposto una flat tax, ha detto che state facendo i calcoli. Quali conti state facendo e quando renderete nota la soglia?
«Il calcolo della soglia più bassa possibile per applicare una forte riduzione fiscale soprattutto a vantaggio del ceto medio, mantenendo in ordine i conti pubblici. Poiché noi riteniamo che la flat tax determinerà un aumento e non una diminuzione del gettito, potremmo anche immaginare un’ aliquota destinata a scendere nel tempo, man mano che si esplicheranno gli effetti della ripresa che deriverà dalla nostra riforma fiscale. Quello che è certo è che da subito vi sarà un sensibile vantaggio per i contribuenti».
Come si finanzierà la flat tax?
«“La verità paradossale è che le aliquote fiscali sono troppo alte e le entrate troppo basse, e il modo più sicuro per aumentare le entrate a lungo termine è quello di abbassare le nuove aliquote”. Sa chi lo disse? Non un leader conservatore come Reagan o la Thatcher, ma un presidente democratico amato dai progressisti di tutto il mondo come John Fitzgerald Kennedy. Allora non si parlava di flat tax, ma nel suo ultimo discorso sullo stato dell’ Unione, pochi mesi prima di essere assassinato, Kennedy propose una forte riduzione delle aliquote. E in effetti i tagli alle tasse varati dall’ amministrazione Kennedy portarono a un aumento del gettito fiscale del 33% in 6 anni, al netto dell’ inflazione. Lo stesso accadde, 20 anni dopo, con Reagan: quella volta l’ aumento, al netto dell’ inflazione, fu del 28%. La ragione di questo apparente paradosso? La spiegò ancora Kennedy: “Ogni dollaro liberato dalle tasse, che verrà risparmiato o investito, contribuirà a creare un nuovo lavoro e un nuovo stipendio”. È quella che noi abbiamo chiamato la “equazione liberale dello sviluppo”: più consumi, più profitti alle imprese, più posti di lavoro, migliori stipendi, e quindi una più ampia platea di contribuenti che pagano le tasse. Aggiungo una considerazione: la flat tax, proprio perché semplice e non gravosa, renderà molto più difficile e meno conveniente l’ evasione e l’ elusione. Stimiamo che farà emergere molto sommerso, quindi nuovo gettito. Insomma non va finanziata, si finanzia da sola e fa bene ai conti pubblici».
Lo ius soli non è stato approvato. Resta la domanda di «contare» da parte di chi in Italia è nato e qui lavora e produce. Ritiene che una risposta vada comunque data?
«Io non sono per nulla contrario al fatto che chi è cresciuto in Italia, si sente italiano, condivide i nostri valori, ama il nostro Paese, possa diventare italiano. Sono però invece contrarissimo a questa legge, che per la cittadinanza prevede che basti qualche adempimento formale. Non credo debbano diventare italiani coloro che, per esempio, tengono le loro donne segregate, non credono nella libertà religiosa, simpatizzano per i terroristi, odiano i cristiani o gli ebrei, neppure se hanno seguito cinque anni di studi in una scuola italiana».
L’Ilva è una patata bollente o se preferisce una mina vagante. Il problema ha dimensioni nazionali. Chi ha ragione, Calenda o Emiliano?
«Nessuno dei due, ma le responsabilità più gravi sono certamente del governatore pugliese. Come si fa a rischiare di bloccare definitivamente uno dei maggiori insediamenti produttivi del Mezzogiorno? Ovviamente la salute va garantita, ma il prezzo non può essere un disastro economico dal quale Taranto, la Puglia e l’ intero Paese avrebbero un danno altissimo».
C’era qualcosa di buono nel referendum che ha bocciato la riforma di Renzi? Occorre che lo Stato riprenda alcune competenze?
«La riforma non chiariva affatto questo punto, anzi poneva le premesse per nuovi conflitti. Ma il problema della ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni esiste, ed è la diretta conseguenza della riforma del titolo V della Costituzione, varata dalla sinistra nel 2000».
Il titolo V, anche alla luce delle vicende Ilva e Tav, ha bisogno di essere migliorato?
«Il problema si risolve definendo in maniera chiara i confini delle competenze, che oggi sono estremamente confusi. La prevalenza dell’ interesse nazionale in alcuni casi dev’essere prevista, ma questo non significa affatto limitare le competenze delle Regioni, che anzi debbono essere complessivamente rafforzate, specialmente nei casi di Regioni virtuose».
I soldati italiani in Niger. È d’accordo?
«Abbiamo sempre votato a favore delle missioni dei militari italiani all’estero. Quando dei nostri ragazzi rischiano la vita per la pace e la sicurezza, facendo onore alla nostra bandiera, meritano di avere il sostegno dell’ intero Paese, che deve unirsi intorno a loro».
Ha definito «un massacro per il ceto medio» il programma del M5S. Lei, invece, cosa farà per il ceto medio?
«La nostra riforma fiscale beneficerà soprattutto il ceto medio, perché noi faremo esattamente il contrario di quello che hanno in animo i grillini: aboliremo ogni imposta sulla successione e le donazioni, sulla prima casa e sulla prima auto. Non permetteremo che siano tassati due volte né i risparmi degli italiani, già colpiti da prelievo al momento dell’ accumulo, né gli investimenti che quei risparmi hanno reso possibili, come l’acquisto della prima casa, che per noi è sacra».
Se tornerete a Palazzo Chigi cosa farete per riaprire il dialogo con la Russia? Sull’embargo l’Italia può fare un passo unilaterale?
«Credo sia più utile e più corretto lavorare perché l’intera Europa capisca che la Russia non è un avversario ma un potenziale alleato, e che le sanzioni sono uno strumento che danneggia prima di tutto noi stessi, le nostre imprese, e al tempo stesso allontana la Russia dall’Europa, rendendo più difficile il dialogo sulle questioni controverse. Un passo unilaterale dell’Italia sarebbe traumatico, e faremo di tutto perché non sia necessario».
Con Salvini fate un passo avanti e uno indietro: a che punto siete?
«In verità con Salvini non abbiamo passi avanti da fare, perché l’ alleanza c’è e funziona. Lui ha uno stile e un linguaggio diversi dai nostri, ma sulle cose concrete non c’ è nessuna difficoltà. Fuori dalla propaganda, Matteo è un interlocutore intelligente e pragmatico».
Ma avrete bisogno di un notaio – come ha detto lui – per avere obiettivi comuni?
«Non vedo perché. Ho piena fiducia nei miei alleati e nel fatto che non verranno meno ai loro impegni».
Molti italiani non andranno a votare. Come li si riavvicina alla politica?
«Gli italiani hanno di fronte tre ipotesi: quella della rassegnazione, quella del voto di protesta per il disgusto nei confronti di questa politica e di questi politici e quella del voto per il cambiamento dell’ Italia affidato a chi ha dimostrato nella vita e in politica di saper realizzare cose concrete raggiungendo traguardi ambiziosi e difficili. Sono sicuro del buonsenso degli italiani e quindi credo che la grande maggioranza sceglierà la terza opzione».
Marco Galluzzo (Corriere)
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