IL GHETTO DEL DRAGONE: VIDEO REPORTAGE DALLA INESISTENTE CHINATOWN MILANESE

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Milano 28 Aprile – E’ un falso storico che si trascina sui giornali da decenni: “ non esiste  la chinatown di Milano, qui la maggioranza dei residenti è meneghina, vi sono solo  centinaia di negozi cinesi all’ingrosso, più o meno abusivi, e un via vai di camion  e carrelli, come nei sordidi slums di Hong Kong, ma chi ci vive non ha gli occhi a mandorla“ ci tengono a precisare in coro i residenti  e i commercianti che si stanno organizzando per contestaresarpi1 l’istituzione di un vero ghetto di stampo medievale nel centro di Milano.

”Praticamente il sindaco Pisapia sta regalando un quartiere intero alla comunità cinese, senza ascoltare i residenti milanesi, che sono la maggioranza in Sarpi, ai quali aveva fatto tante promesse…” racconta deluso il presidente dell’associazione Vivi Sarpi.

“Qui non è come a San Francisco, nel quartiere noi  italiani siamo l’80% dei residenti“ affermano  due anziani avventori davanti al Bar Messina (rigorosamente gestito da pechinesi).

“Però se i cinesi hanno comprato la Pirelli, possono anche comprarsi via Paolo Sarpi” spiega un passante  frettoloso con accento abruzzese.

Abbiamo fatto con un pugno di abitanti  indigeni  (di etnia Meneghin e Cecca) una video-passeggiata  nel quartiere  delle Griffe made in Cina che quattro anni fa, ai tempi della sarpigiunta Moratti che voleva regolamentare il commercio all’ingrosso della paccottiglieria made in RPC, vide la rivolta della comunità  cinese, che scese in piazza sventolando le rosse bandiere della Repubblica Popolare, che faceva molto  lunga marcia. Mancavano però    i ritratti di Mao  e di Lin Piao….

Oggi l’assessore al commercio D’Alfonso ha espresso  una delle sue genialate alla stampa zerbino (dopo la proposta di una ruota da luna park da costruire nel parco Sempione e il posizionamento di  un chiosco in lamiera  per vendere  superalcolici davanti alla chiesa di san Lorenzo): una porta in ferro battuto, gesso, polistirolo e bulloneria con due enormi dragoni rossi  da posizionare ai due ingressi di via Paolo Sarpi, per evidenziare la supposta Chinatown milanese, che è una invenzione storica, e attirare i visitatori dell’Expo.

“Sa cosa ci ha risposto D’Alfonso quando gli abbiamo portato mille firme di protesta raccolte in un giorno? Che i cinesi ne potrebbero raccogliere molte di più” racconta una  residente indignata.

Le due porte delle gabelle all’insegna delle cineserie  ricordano, se non i  ghetti degli ebrei nel medioevo,  almeno  gli archi in cartongesso dei  Mercatoni della Scarpa  in periferia: la sarpi3carnevalata di D’Alfonso  dovrebbe sorgere per delimitare in un recinto  pacchiano  una delle zone più mediatiche della città: case editrici, radio, case discografiche, centri televisivi…

Sorge un dubbio: dopo via Paolo Sarpi, ci sarà un portale con chador per delimitare il Califfato di Viale Padova? O un portale con Hazet 39 e chilum davanti al Leoncavallo?

O davanti al mercato di viale Papiniano, magari un portale con le insegne delle false borse Vuitton e del coccodrillino Lacoste?

Forse D’Alfonso e la sua giunta hanno in mente qualcosina di tipico, un ridisegno delle contrade di Milano, forse  un futuro Palio delle Etnie, con corsa di dragoni  e sfilate di modelle in burqa…

Halleluja, già intonano i peana gli sciba del “Corriera della Sura”, che incensano ogni sarpi2giorno la giunta incapace.

“Qui mancano vigili e regole, qui si vendono griffe contraffatte, i cinesi lavorano in nero, niente scontrini, igiene zero, la guardia di finanza non interviene, è vietato aprire negozi all’ingrosso ma il comune ha fifa e chiude tutte e due gli occhi ” denunciano i combattivi residenti meneghini di via Sarpi, che si preparano a uno scontro epocale al consiglio di zona 8.

Ribatte uno zelante negoziante mandarino  che  espone in vetrina  la  intera collezione di borse, borselli, caschi coloniali, cinture, accessori e giubbotti della Alvaro Martini “qui non si vendono falsi, ma  solo  moda italiana made in China”.

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Videoreportage di  CLAUDIO BERNIERI

Musica di  LUCIANO D’ADDETTA.

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