Milano 20 Marzo – L’attentato ai danni della Tunisia, dell’Italia, del Giappone e di tutti quei Paesi a cui appartenevano le vittime dimostra chiaramente che la “Rivoluzione dei gelsomini”, nella realtà, è stata solo un tentativo da parte dei Fratelli Musulmani, di rovesciare quei governi laici che, nonostante l’autoritarismo dei rispettivi capi di stato, garantivano sicurezza, ordine e soprattutto impermeabilizzavano quei paesi dal pericolo del terrorismo e dalla teocrazia.
In Nord-Africa, stati come la Tunisia e l’Egitto, a forte vocazione laica, i tentativi di deviare verso la teocrazia islamica, da parte del movimento della Fratellanza Musulmana, sono falliti, costringendo questo movimento politico-religioso a ricorrere, nuovamente, allo jihadismo nel tentativo di indebolire quegli stati da cui sono stati scacciati ed in cui sono considerati per quello che realmente sono: terroristi.
Nelle ultime ore si sta cercando con affanno di trovare un gruppo terroristico islamico responsabile dell’attentato in terra di Tunisia: Isis, Al-Qaeda, Ansar al-Nusra, cercando per l’ennesima volta di confondere l’opinione pubblica con questa mediatica sorta di gioco delle tre carte.
Isis, Al-Qaeda, Ansar al-Nusra, è tante altre sigle del terrorismo islamico, come Hamas, sono parte integrante del movimento della Fratellanza Musulmana e ricevono finanziamenti dal Qatar e dall’islamico governo di Ankara. Vogliamo davvero fermare l’Isis? Allora che si colpiscano il Qatar, la Turchia e che si blocchino i finanziamenti provenienti dall’U.E.
Nonostante questa volta sia stato ancora e per l’ennesima volta colpito l’Occidente, quest’ultimo cerca sempre e per l’ennesima volta di fare dei distinguo, di creare degli alibi, delle giustificazioni nei confronti di qualche gruppo terroristico islamico per allontanare l’opinione pubblica dalla verità: non esistono gruppi terroristici islamici autonomi, esistono dei gruppi terroristici che rispondono ad un’unica regia e quell’unica regia viene dettata dalla Fratellanza Musulmana.
Molta ipocrisia politicamente corretta l’ho notata, circa tre settimane fa, in un servizio mandato in onda da un noto, talvolta anche simpatico, programma serale delle reti Mediaset.
Un brasiliano, anche un po’ cretino, ha chiamato la redazione di un noto programma radiofonico, e, spacciandosi per un islamico, ha lanciato minacce contro uno dei due conduttori.
Partendo da questo piccolo preambolo, l’inviato del programma Mediaset ha raggiunto il cretino cameriere brasiliano con lo scopo di “sputtanarlo” e per lanciarsi in una lezione sull’Islam: gli mancava solo che dicesse “Dove c’è Islam c’è casa” giusto per completare l’opera.
Ottime le disquisizioni in merito all’algebra, allo “zero” ed all’accostamento della filosofia greca con le scuole di pensiero islamiche ma l’inviato ha dimenticato “alcune” piccole cose politicamente scorrette.
È esistito un periodo della storia islamica nel quale la cultura greca non è stata considerata avversa al Corano, ma attraente e necessaria. In quest’epoca le opere scientifiche e filosofiche greche sono state ricercate, tradotte e studiate; opere originali sono state prodotte da scienziati e filosofi arabi e hanno generato, a loro volta, l’ulteriore ricerca e traduzione di testi greci. Sono stati gli inizi e l’apogeo del califfato “abbaside”, tra l’VIII ed il X Secolo, a conoscere questa stagione di interesse e addirittura di entusiasmo per il pensiero greco. Quasi tutta la letteratura scientifica e filosofica greca fu allora resa disponibile ai lettori di lingua araba, e un fatto cosí significativo non si determinò certo grazie alle iniziative isolate di pochi studiosi affascinati da un sapere nuovo e straniero. Si trattò, piuttosto, di una volontà largamente diffusa nella società arabo-islamica di farsi eredi del patrimonio scientifico e filosofico greco. Delle traduzioni dal greco gli scienziati arabi si servirono ampiamente per incrementare le proprie cognizioni e rielaborarle in nuovi sistemi: si pensi soltanto al progresso delle matematiche e dell’astronomia o alla speculazione logico-metafisica di un Averroè o di un Avicenna. E quel benemerito califfo che fu al-Ma’mun fece addirittura costruire due osservatori astronomici alla periferia di Baghdad nonché un grande centro di studi dotato di biblioteca chiamato “Casa della sapienza” e celebre nel Medioevo. E studiosi e traduttori vi lavoravano fianco a fianco, i primi a formulare teorie e calcolare distanze planetarie, i secondi al delicato compito di coniare in arabo termini tecnici delle varie discipline ignoti prima d’allora e rimasti nella lingua fino ai giorni nostri.
Malgrado i filosofi musulmani fossero sempre guardati con sospetto dalla comunità islamica e spesso anche perseguitati, essi furono credenti come tutti gli altri nel mondomusulmano, solo che nella ricerca della verità si avvalsero degli strumenti loro forniti dalla filosofia greca, che cercarono di mettere in sintonia con la propria religione.
Personaggi dal magnifico ingegno, quali Averroè, Avicenna e al-Gazali, segnano l’apice e, al contempo, l’ultimo stadio della cultura islamica: dopo che essi, grandi ammiratori di Platone, di Aristotele e dell’intero mondo greco portarono la ragione umana alle stelle (per Averroè vale più la ragione che non il Corano), avviando una riflessione di altissimo livello, per alcuni aspetti anche superiore a quella che in contemporanea andava elaborando l’Occidente cristiano, ma ci fu un brusco declino, dovuto alla religione islamica, per quella sua natura oppressiva e avversa ai dettami della ragione. L’Islam tacitò ben presto la ragione, ripristinando l’indiscusso primato della fede e condannando duramente le teorie razionalistiche di Averroè. Questo ripiegarsi sulla religione, mettendo al bando la ragione e le sue illuminanti trovate, costò caro al mondo arabo, che da allora precipitò in una chiusura soffocante, avviandosi ad essere definitivamente sopraffatto sul piano filosofico dal mondo occidentale, il quale un po’ alla volta (l’Illuminismo segnerà il momento culminante) riuscì a liberarsi da quell’orpello che era la religione cristiana, avversa anch’essa ai dettami della ragione e mirante a sottomettere l’uomo alla fede. Nell’Occidente la modernità si aprirà appunto con una netta separazione tra la fede e la ragione, le quali procedono da quel momento autonomamente su binari paralleli; nel mondo islamico, invece, dopo una breve fioritura del pensiero filosofico, la religione tornerà a dominare incontrastata, rendendo statica e poco vivace una società in cui Aristotele, Platone e gli altri filosofi greci sono scalzati dal monopolio del Corano, dove il pensiero è sottomesso all’autorità del verbo divino, arrivando a farprocedere verso le tenebre dell’ignoranza la società musulmana e le “lezioni” di un imam saudita, Sheikh Bandar al-Khaibari, che ai suoi studenti ha spiegato che, al contrario di quello che scoprì Galileo Galilei, non è vero che la Terra e altri pianeti ruotano attorno al Sole, ne sono la prova lampante.
Anche dal punto di vista politico, l’Islam, rimane statico, mai moderato ed in ogni sua scuola di pensiero politico la teocrazia viene vista come l’unica forma di governo possibile.
Wahabismo, Salafismo arrivano a convergere sull’idea di governo teocratico, in cui la Legge Coranica (la Sharia) deve essere l’unica legge a regolare la vita del popolo.
Persino la più moderna dottrina politica musulmana, il Maududismo, sfocia nella teocrazia e non parliamo di una scuola di pensiero politico sorta nel Medioevo bensì nel secolo scorso ad opera del filosofo indo-pakistano Sayyid Abu l-A’la Maududi, il maggior promotore dell’islamismo moderno. Maududi formulò il concetto di “teo-democrazia”, identificando nei tre principi del Tawhid (unità e unicità di D-o), della risala (profezia) e della khilafa (califfato) gli elementi strutturali del sistema politico islamico. Maududi asserisce che la democrazia islamica è antitetica rispetto al concetto occidentale e secolare di democrazia, basata sulla hakimiyya (sovranità) del popolo. In una democrazia islamica la sovranità di D-o e quella del popolo si escludono reciprocamente. Maududi asserisce che un governo islamico deve accettare la supremazia della Legge islamica che deve compenetrare ogni aspetto della vita politica e religiosa. La dottrina politica di Maududi è basata essenzialmente sull’unicità di D-o espressa nell’Islam, per cui l’uomo ha una posizione di assoluta dipendenza verso il Creatore, non è quindi responsabile del suo destino in quanto è soggetto ad errore e ad imperfezione. Solo riconoscendo D-o la posizione dell’uomo si può elevare, e quest’ultimo dovrà gestire gli affari del mondo secondo le direttive impostegli da D-o. In Maududi il concetto di Tawhid sfocia irrimediabilmente anche nella politica, quindi in un pensiero che, ritenendo l’unica sovranità possibile quella di D-o, esclude ogni altro tipo di sovranità. In questo modo l’ideologia dell’Islam appare come un progetto totalizzante che non può essere diviso: si deve ammetterlo per intero o rifiutarlo per intero. La certezza della sovranità di D-o implica la superiorità di una vita autenticamente islamica nei confronti di tutti gli altri sistemi sociali inventati dall’uomo.
Risultato: ogni governo laico, soprattutto se abitato da musulmani, è un male e come tale va annientato ed è proprio questa la tesi formulata dall’Isis in per esaltare le sanguinarie gesta dei suoi terroristi in Tunisia.
Impiegato presso una nota multinazionale americana, ha avuto varie esperienze di dirigenza sia in campo professionale che in campo politico.
Scrive per Milanopost ed altre testate, soffermandosi soprattutto su Israele, Medio Oriente, Africa sahariana e subsahariana. Giornalista Freelance scrive più per passione che per professione.