Milano 5 Dicembre – L’aria respirava arte e creatività nel quartiere Brera. Erano gli anni eroici 60 e 70, quando si cantava l’amore libero, l’arte libera, il sogno. E i colori, i suoni, le parole inneggiavano ad una nuova era, senza steccati, in nome di una rinnovata fratellanza, nel segno di una trasformazione radicale della società, del costume, dell’arte. L’italia ricostruiva con fatica e speranza la propria identità, con le braccia aperte al mondo, a nuove prospettive, alla conoscenza di nuovi miti. Brera era cultura, vivacità intellettuale, scambio, sperimentazione. Un viaggio esaltante. Negli abbaini la bohème era il sapore dell’improvvisazione, della condivisione, della scoperta. E la gloria sembrava vicina, quando nelle lunghe serate Ray Charles cantava la sua malinconia, con la nebbia che assopiva la fame e gli occhi bruciavano al calore del fuoco di un camino.
Nei bar ci si incontrava per respirare un sogno comune, per scambiare emozioni, il caffè, a volte un panino, spesso solo illusioni. Al Jamaica Dova, Crippa, Treccani, Cassinari, Fontana parlavano di nuove correnti artistiche, del superamento della pittura figurativa, del valore del segno. E hanno fatto la Storia dell’arte del 900. Migneco, Kara, Mazzucchetti, Ficara, Boncinelli rappresentavano i giovani, sempre alla ricerca di un mercante, quattro soldi in tasca, la speranza nel cuore. Nei giorni più grigi si andava dalle sorelle Pirovini, dopo il bar Brera, all’inizio di via Fiori Chiari. Una frittata e un bicchiere di vino c’erano sempre, con un pezzo di pane spesso raffermo. Si poteva pagare con un quadro, rigorosamente senza cornice. La valutazione era proporzionale al debito, decisa così, secondo il buon cuore.
Le piccole gallerie ospitavano il britto e il bello, ma c’era il colore e il calore dell’anima. E c’era, soprattutto, un’umanità che vibrava, che sapeva volare, che sperimentava, sempre alla ricerca della Bellezza, dell’Assoluto
Il Jamaica è sempre là, buio e solitario, il buon profumo del caffè è un ricordo d’amore. Mamma Lina una nostalgia. Ora ha clienti radical chic, eleganti e lontani. Gucci espone all’angolo di Fiori Chiari il lusso dell’impossibile. Il bar Brera ha mantenuto i prezzi popolari per gli studenti della vicina Accademia. Studenti che, finalmente, ricordano che sì, si può ancora parlare d’arte, che sì, si può ancora sognare.
L’acciottolato, testimone immutato del tempo, accompagna i turisti alla ricerca di antiche suggestioni. I negozi si susseguono con la supponenza elitaria del lusso, le cartomanti svendono la loro ipocrisia, i ristoranti sono all’asta, hanno sostituito al “Venghino, Venghino”, un frizzantino d’aperitivo. Manca l’eco di un pianoforte, suonato al piano bar del Due o al Montmartre, per sussurrare l’amore o la nostalgia.
Manca l’anima di una Brera che non c’è più
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano