Perchè mi sono convertito al gattolicesimo

Zampe di velluto

Come calamitato, ogni volta che ci passo davanti metto piede dentro la libreria FeltrineIIi in corso Buenos Aires, a Milano. Oggi vedo gatti dappertutto. lo a casa ne ho tre, siberiani, e “sono” dappertutto, perché in un ambiente ristretto ogni gatto ha il potere di moltiplicarsi, chi li ha lo sa. Sono degli illusionisti, sanno nascondersi e ricomparire, con tempi cinematografici perfetti. Sono qui, e sono lì. Ma se mi succede in una libreria, e i gatti sono stampati sulla carta, è diverso. Sui due banconi all’entrata’ gatti dappertutto: Cronache di un gatto viaggiatore, della scrittrice giapponese Hiro Arikawa, ispirato all’Abramo di tutti i romanzi sui gatti, lo sono un gatto di Natsume Soseki; Felix, il gatto del treno, di Kate Moore, best seller nella classifica del Sunday Times; un’antologia dello storico fumetto Krazy Kat di George Herriman. Il testone bianco di un gatto con gli occhi di colore diverso impegna tutta la copertina di Another WorId di Banana Yoshìmoto, e a fare la guardia a un’edizione economica de Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov c’è il disegno di un gatto nero su due zampe (il demone Behemoth del romanzo). Badate: i banconi sono composti da varie novità, non raccolgono una selezione di libri per ingolosire i felinofili. Conquistata subdolamente la libreria e l’ex porto franco di casa mia, i gatti hanno completato l’invasione: i social media, colonizzati dalla ruffianeria dei cuccioli, gli emoticon di WhatsApp che offrono una collezione di espressioni che fa invidia a quella degli umani, l’etere, la tivù, le case, tutto è pieno di gatti: nelle famiglie italiane ce ne sono sette milioni e mezzo, 500 mila in più dei cani.

Ma che hanno? I gatti sono fatti per il 95 per cento di acqua ben organizzata, il resto è gomma: si infilano ovunque, non solo in carne e pelo, ma anche in spiritu: nelle teste, nella modernità. Cosa che, per esempio, i cani, che la natura avrebbe dotato di armi molto più efficaci, non fanno. Non lo sanno fare perché il cane è un affettivo d’altri tempi, ottocentesco. Il cane è un romanzo sentimentale, un feuilleton di cui ogni giorno scrive una puntata. Il gatto, invece, è un tweet: centosessanta millisecondi di miao da cui devo capire tutto. Ecco: il gatto piace perché è una bestia millennial, fulmineo, aforistico, evanescente. E , mutevole come un’opinione su Facebook, psicotico come un hater, ma anche tossico come una sfilata di Vietorìa’s Secret e fastidiosamente perfettino come la Ferragni; al passo, per indipendenza e manutenzione ridotta, con il tempo che non abbiamo da dedicargli, maneggevole come un telefonino e ugualmente gradevole e infido, ti fa credere di poterlo spegnere, di poter smettere di guardarlo quando vuoi: ed è proprio per questo che non lo fai. L’origine di ogni dipendenza. Per gli anni Dieci malati di click, il gatto è una deliziosa maledizione, e in più è un animale nativo di Instagram: volontariamente o meno, è sempre in posa. Il cane non è così, il cane sa fare schifo, anche al levriero più radical chic scappa prima o poi un momento di goffaggine, una rotolata sulla merda. Il gatto anche quando vomita deiezioni di pelo sembra che ti posi sul pavimento anelli e pietre rare. Io i miei gatti, Zelda, Sonic e Artù, li guardo per ore, rapito come da un videogioco, non bado più al televisore, al cellulare, al computer. Fanno continuamente cose strane, non mi deludono mai. Oppure dormono, e quando dormono, con quel sonno incommensurabilmente completo e fiducioso, che ti sbatte in faccia l’idea platonica dell’autostima, non puoi che desiderare di diventare gatto, cioè un manager di successo, un tennista top ten, una modella a Milano. Nessuno invece vorrebbe diventare cane, siate sinceri: Ma un animale domestico non dovrebbe soddisfarei, colmare le lacune dell’animuccia nostra?

Il cane lo fa: tutti vorremmo un amico che non tradisce, tutti desideriamo essere circondati da lealtà, abnegazione, affidabilità. Sono valori di un altro secolo e il cane è esattamente tutto questo, il suo calore e la sua saldezza ci circondano a larghe volute concentriche, il suo affetto senza lacune è ingombrante, rassicurante e scomodo come Guerra e Pace nella borsa. Del cane amiamo quella scomodità, e l’umidità, l’ingombro, la puzza (nel gatto niente di tutto questo), perché sono il gps della sua presenza nella nostra vita. Leale, affidabile, abnegato, chi più del cane? E chi, invece, per natura, lo deride? Il gatto. Non che il gatto al cane glieli contesti, i suoi principi. Peggio: proprio come i cristiani secolarizzati del terzo millennio, li ignora ostentatamente e li evita ostinatamente, non ci entra neppure in discussione: il gatto si comporta con i principi umani come si schiva uno stronzo sul marciapiede. Così, la bestiola che in passato (no: trapassato) aveva inquietato la creatività di artisti e scrittori per la sua attitudine ad allargare le voragini delle nostre incertezze esistenziali, oggi è l’incarnazione della post verità -una misteriosa ossessione del controllo che ha reso largo come una striscia pedonale il confine fra realtà e bugie -che gli uomini, praticandola o combattendola o studiandola, esibiscono come la medaglia di una compiuta modernità.

Qualcuno dirà sai che scoperta, anche gli antichi egizi. Balle.Gli egizi non hanno alcuna credibilità: adoratori compulsivi, imbalsamavano i gatti, è vero, ma anche i coccodrilli e gli uomini, e poi andavano in giro con degli scarafaggi secchi in tasca, che adoravano come piccoli dei. Lasciate perdere gli egizi. Quanto a me, inveterato canaro, sono ormai convertito, anzi, integralista: radigattizzato. Torno a casa carico di quei libri, che non leggerò, ma che importa, ci sono dentro dei gatti. Oltre la soglia vedo per  prima Zelda, la capostipite, una siberiana gigante e snob: è sdraiata sul ciglio della libreria e mi fissa con un po’ di schifo, sbrodolando le zampe e un chiletto di pancia giù dallo scaffale. Zelda mi guarda sempre come se qualcosa di esecrabile mi uscisse dal naso. Sonic è inumato sotto i cuscini del divano. Non so fra quanti passi Artù mi attaccherà. Lo fa sempre quando rientro. Succede per la combinazione di due perché: ha sempre fame ed è un grande felino con le dimensioni sbagliate. lo so che mi salvo solo per questo. Artù mi si conficca nel ginocchio, tiro un sospiro di pazienza e sanguino con grazia. Sono una betulla da unghie, e lo accetto con bipede dignità.

GIUSEPPE BRAGA (Libero)

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