Milano 3 Ottobre – Stephen Paddock era una persona “normale”. Lo stanno ripetendo tutti. Il fratello è scioccato. Sembra che nulla facesse presagire una violenza così abnorme da determinare una strage senza precedenti nella storia americana che, purtroppo, di lupi solitari ne ha visti tanti.
Eppure Stephen Paddock ha sterminato 58 persone, ne ha ferite 515, di cui alcune in condizioni gravissime.
Ai morti non interessa il volto del killer, né le motivazioni, né la storia privata. Ma ai vivi, al mondo umano, forse dovrebbe interessare il come la normalità di un fratello, di un vicino di casa, di un compagno di bevute diventi volontà di uccidere.
Stephen Paddock aveva con sé almeno 10 tra fucili automatici e pistole. E un odio contro il mondo intero e la vita. Non ha scelto le vittime. Per venti lunghissimi minuti ha sparato e sparato ancora. Forse con un ghigno sulle labbra. E gli uomini birilli di tanta follia cadevano a terra, altri fuggivano nell’orrore della paura, con le raffiche che si susseguivano senza pietà. In una serata di musica e gioia.
Stephen Paddock ha deciso di morire, dopo tanta follia.
Oggi si parlerà molto della facilità con cui in America si possono comprare le armi, ma forse non si parlerà a sufficienza della vita e del perché un uomo normale, in un mondo cosiddetto normale, possa odiarla in modo così irrazionale e violento. Ma forse questo non è un mondo normale.
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano